OLTRE OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO

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IX edizione delle Giornate Tridentine di Retorica dedicate quest’anno ai metodi di formazione della prova nel processo
di Serena Tomasi

Ritrovarsi a Trento in occasione delle Giornate Tridentine di Retorica (GTR) sta diventando ormai, per molti studiosi di filosofia del diritto, una consuetudine. Anche quest’anno, in occasione della IX edizione del convegno, dall’11 al 13 giugno, numerosi esperti di metodologia giuridica, magistrati, avvocati e professori delle discipline giuridiche hanno assiepato l’aula 1 della Facoltà di Giurisprudenza per discutere e ragionare su un tema di scottante attualità.
La questione riguardava i metodi di formazione della prova nel processo: quali sono le modalità in base alle quali si accertano le cause di un determinato effetto (giuridicamente rilevante)? Come si verificano le ipotesi accusatorie in modo tale da individuare gli elementi di colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”?

Sotto la direzione scientifica del professor Maurizio Manzin e dei componenti del Centro di Ricerche sulla Metodologia Giuridica (CERMEG), si sono succeduti gli interventi di teorici eminenti e di esperti pratici del diritto ai livelli più alti dell’ordinamento giudiziario. Le relazioni principali sono state svolte da Paolo Ferrua, professore ordinario di Diritto processuale penale all’Università di Torino, Aurelio Gentili, professore ordinario di Istituzioni di Diritto privato all’Università Roma Tre, Giovanni Canzio, Consigliere di Corte di Cassazione e relatore della celebre “sentenza Franzese” sul nesso di causalità, Francesco Mauro Iacoviello, Procuratore generale presso la Corte di Cassazione e Francesco Abate, Presidente della Corte d’Appello di Trento.

L’indagine partiva dalla constatazione di un’esperienza comune: la tendenza sempre maggiore, nell’ambito dei processi, a ricorrere a strumenti scientifici e tecnologici d’indagine, il cui peso in ambito probatorio è frequentemente decisivo. Tendenza, per altro, amplificata dai mezzi di informazione e ‘spettacolarizzata’ da numerose produzioni televisive italiane e straniere.
Secondo un’opinione assai diffusa, la (tecno)scienza sarebbe ormai in grado di fornire automaticamente la soluzione per ogni caso giudiziale, o quantomeno quella in assoluto meno discutibile. In realtà, ciò non accade pressoché mai. Gli indizi su base scientifica e tecnologica, presi da soli, possono voler dire tutto o niente: per essere efficaci, essi devono venir collegati entro un ragionamento più ampio, basato sulla logica argomentativa.

Si reputa, con pregiudizio, che la ricostruzione del fatto consista in una descrizione ‘oggettiva’ della verità storica di quanto è avvenuto. Ma questo non è mai possibile: il processo non può essere paragonato a un laboratorio, perché ciò che ha luogo in esso non è un esperimento, cioè qualcosa che accade sotto i nostri occhi, ma il tentativo di comprendere qualcosa che è già accaduto, ed è dunque irripetibile. L’esperienza processuale, in ogni ordinamento liberale, si realizza nel contraddittorio tra le parti, e nel contradditorio si forma la prova nel processo penale: così è stato stabilito dal legislatore al più alto grado dell’ordinamento, nel dettato dell’art. 111 della Costituzione, che è da ritenersi l’alfa e l’omega di ogni ragionamento sul processo.

Ecco perché la formazione della prova non può essere governata interamente dalla tecnologia, ma ha bisogno della logica argomentativa: la valutazione che il giudice si troverà ad operare è, infatti, di natura topico-dialettica, poiché deve fondarsi sulle argomentazioni delle parti, e quindi dipende dalla capacità delle stesse di organizzare in un discorso credibile i dati che la tecnologia mette a disposizione, e far sì che essi risultino persuasivamente (logicamente) delle vere e proprie prove. Ecco dunque svelata una relazione insopprimibile: quella tra processo, scienza e retorica, senza la quale l’esperienza giuridica non può essere compresa nel suo fondamento.

Infine una nota sulla giornata conclusiva del convegno. Quest’anno, la terza sessione ha avuto una fisionomia atipica: tradizionalmente essa è dedicata al commento dei filosofi del diritto su quanto emerso, nelle giornate precedenti, dal confronto con la prassi e la dottrina; stavolta, invece, il convegno si è chiuso con un omaggio alla carriera di Francesco Cavalla nel trentennale della sua cattedra. Allievi ed amici del filosofo del diritto padovano hanno onorato il loro maestro, discutendo alcuni luoghi del suo pensiero nel modo a lui più gradito: con passione, spirito critico e un pizzico di goliardia.
La conclusione del convegno non ha, ovviamente, segnato l’ultima parola sui temi discussi. Anzi, le suggestioni emerse dalle Giornate spronano a nuove ricerche, per comprendere con sempre maggiore profondità cosa sia il processo. Come spesso ripete il filosofo, la ricerca della verità non è mai finita, e il suo ‘aprire’ sta proprio nel suo incessante ‘bussare’.