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“MASSA E POTERE” DI ELIAS CANETTI

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I cinquant’anni di un capolavoro della sociologia
intervista di Marinella Daidone a Enzo Rutigliano

Corre quest’anno il cinquantesimo anniversario della pubblicazione del capolavoro di Elias Canetti “Massa e potere”. Scrittore in lingua tedesca e grande figura di intellettuale della cultura mitteleuropea, Canetti ricevette il Nobel per la Letteratura nel 1981. Minore fu invece, presso gli ambienti accademici, la fortuna di “Massa e potere”, l’opera a cui egli si dedicò per oltre trent’anni.
Ne abbiamo parlato con Enzo Rutigliano, docente di Storia del pensiero sociologico presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento e autore del libro “Il linguaggio delle masse. Sulla sociologia e Elias Canetti” (Edizioni Dedalo, 2007).

Professor Rutigliano, qual è il motivo della scarsa fortuna di “Massa e potere” nell’ambiente accademico e sociologico?

Una delle ragioni dell’esclusione di Canetti dalla comunità di riferimento dei sociologi che si sono occupati della massa riguarda l’impianto stesso dell’opera, che rifugge dal modo di procedere del trattato. “Massa e potere” è una fenomenologia del comportamento delle masse ed è priva di quell’apparato indispensabile di note, rimandi e citazioni che alimentano il dialogo e la visibilità all’interno della comunità di studiosi del ramo che perciò l’accettano, la riconoscono come parte della koinè. Egli è quindi spesso considerato un outsider, un autore che infastidisce.
L’esclusione dell’opera dal novero dei classici della sociologia di quest’opera rimane comunque difficilmente comprensibile, anche perché Canetti aveva cominciato ad occuparsi della massa e del suo comportamento nell’intento di contestare le posizioni di due classici quali Gustav Le Bon e Sigmund Freud.

Che cosa intendono per massa questi due autori?

Per Le Bon, autore de “La psicologia delle folle”, massa è sinonimo di folla; il suo referente, che suscita timore e perfino odio, sono le masse rivoluzionarie della Rivoluzione francese e della Comune di Parigi. Per Freud, che scrive “Psicologia delle masse e analisi dell’io”, la questione è più complessa. Il padre della psicanalisi intende la massa come un numero più o meno grande di individui collegati tra loro e tali da costituire un’unità. La massa dovrebbe essere ricondotta a uno stato dell’individuo, a una pulsione che egli ha già in sé ma ha bisogno di attivarsi come pulsione sociale.

Ma cosa significa “massa” e cosa intende la sociologia contemporanea per “massa”?

La parola deriva dal greco “máza” che vuol dire pasta, materia plasmabile dalla forza delle mani, come ad esempio la pasta del pane. Dunque qualcosa di plasmabile dall’esterno. La sociologia attuale dà diverse definizioni, una delle più accreditate è quella di Luciano Gallino che definisce la massa “una moltitudine di persone politicamente passive”, in posizione di oggettiva dipendenza rispetto alle istituzioni portanti di una società e quindi fortemente influenzabile da esse, incapace di organizzarsi e di esprimere una propria volontà.

Qual è invece la posizione di Canetti?

Canetti rovescia almeno due secoli della cultura europea e occidentale, volti a valorizzare l’individuo, a favore di ciò che l’occidente aveva sempre svalutato come fenomeno regressivo e irrazionale: la massa. Mentre l’individuo era inteso come portatore della ragione e la massa portatrice di irrazionalità, per Canetti, al contrario, l’individuo è prodotto dalla dissoluzione della massa e porta con sé gerarchia, dominio e ingiustizia. La massa è invece l’unico luogo dove l’uguaglianza originaria è possibile. Egli vede nella massa un antidoto all’individualismo imperante e anche alla politica verso cui non ha mai nutrito grandi speranze. Il suo schierarsi con i più deboli, in senso antiautoritario e democratico, non ha mai assunto forma politica.
Canetti si rifiuta di operare una distinzione tra il mondo dei comportamenti animali e quello umano e questo è un aspetto che susciterà sconcerto nei critici, così come la sua avversione per la storicizzazione.

Quindi “Massa e potere” fu ignorato?

Non si può dire che il libro sia stato ignorato in senso assoluto, infatti fu tradotto in molte lingue e gli vennero dedicati parecchi saggi, ma non in ambito sociologico o antropologico, che era quanto Canetti sperava. L’autore avrebbe voluto che il libro fosse preso sul serio in ambito universitario, che fosse studiato per quello che era, vale a dire un lucido e illuminante trattato , seppure in forma narrativa, sul comportamento della massa, sull’origine dell’individuo, sulla nascita del potere e sulla complicità di quest’ultimo con la morte.

Quando uscì il libro in Italia e qual è stato il suo personale approccio verso quest’opera?

Il libro venne tradotto in italiano da Furio Jesi nel 1972. Il contesto storico di quel periodo era ancora legato al marxismo, quindi si parlava di classi sociali contrapposte, mentre iniziavano ad andare di moda il pensiero di Nietzsche e la sociobiologia. “Massa e potere” fu per me una scoperta inaspettata, che giungeva in un momento in cui avevo bisogno di altre categorie per leggere la realtà sociale al posto delle vecchie che non parevano più reggere alla dissoluzione delle speranze che venivano dal Sessantotto. Nel gennaio 1983 decisi dunque di attivare un seminario di lettura e commento del testo di Canetti nell’ambito del corso di Storia del pensiero sociologico che tenevo presso la Facoltà di Sociologia di Trento. Cercai di coinvolgere lo stesso Canetti nel progetto e gli scrissi una lettera. Fu l’inizio di una corrispondenza che continuò fino al 1994, ossia poco prima della sua morte.