Ciclo di incontri su “Memoria e diritto”, archivio Università di Trento

LA MEMORIA È IMPRESCRITTIBILE

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A Giurisprudenza un ciclo di incontri su “Memoria e diritto”
di Gabriele Fornasari
Approfondimento: 

Il punto di partenza da cui prendo le mosse è che la memoria è imprescrittibile.
Può essere necessario aspettare un po’ di tempo, e qualche volta anche molto tempo, ma poi inevitabilmente l’esigenza della verità, il bisogno di comprendere emergono senza che sia più possibile coartarli.
Oggetto specifico dell’incontro, che si è svolto lo scorso 10 novembre presso la Facoltà di Giurisprudenza, è stata una rivisitazione dei cosiddetti “anni di piombo”, tra gli anni settanta e gli anni ottanta, quando l’Italia è stata flagellata dal terrorismo e dalle stragi, da un punto di vista molto peculiare, ovvero quello del ricordo dei congiunti delle vittime, esemplarmente evidenziato da un recente bellissimo libro intitolato “Sedie vuote”, pubblicato dalla casa editrice trentina “Il Margine”, che raccoglie i dialoghi tra un gruppo di studenti liceali trentini ed alcuni famigliari delle vittime.

Libro "Sedie vuote - Gli anni di piombo: dalla parte delle vittime"Con l’aiuto e la testimonianza dell’avvocato bresciano Alfredo Bazoli, figlio di Giulietta Banzi in Bazoli una delle vittime della strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974, si è ricostruita l’atmosfera di quegli anni e si è sottolineato quanto le storie e le sofferenze private siano un modo fondamentale di integrare la narrazione pubblica per la capacità di coinvolgimento delle coscienze.
Ma il punto critico è proprio l’insufficienza e l’inadeguatezza della narrazione pubblica: in Italia un vero processo di ricognizione storica di quegli anni non è avvenuto e la ricerca della verità è stata trascurata, affidandola in sostanza ai processi penali, cioè ad uno strumento che ha tutt’altre finalità perché non deve ricostruire la verità storica, ma accertare la responsabilità di singoli soggetti per la commissione di singoli reati.

È chiaro che questo accertamento di responsabilità si fonda anche su testimonianze e documenti che possono fare luce sul quadro storico, ma in un caso come quello del terrorismo (di gruppi come le Brigate Rosse o Prima Linea o di gruppi neofascisti legati ad apparati deviati dello Stato) l’entità del fenomeno, le sue cause, il suo sottofondo socio-politico non possono essere oggetto che del lavoro degli storici.
In altri Paesi (faccio solo l’esempio di Sudafrica, Argentina e Cile, ma se ne potrebbero fare molti altri) sono stati i Governi, cioè il pubblico potere, che hanno nominato commissioni formate da persone di provata competenza ed autonomia (ed infatti nessuno poi ha contestato i rapporti che hanno prodotto al termine dei loro lavori) con l’incarico di fare luce, una volta chiuse pagine oscure caratterizzate dalla violazione sistematica di diritti umani, da dittature o da gravi conflitti interni, sugli avvenimenti che avevano avuto luogo in quelle fasi storiche.

La ricostruzione della verità, attraverso il libero accesso ad archivi e testimonianze, ha rappresentato in quei Paesi il fondamento di una ritrovata coesione sociale, ha restituito dignità alle vittime, è stata la premessa per una riparazione effettiva e simbolica delle loro sofferenze ed è servita come chiave di un patto costituente per la ricostruzione o il rafforzamento della democrazia (non è un caso che si intitoli “Nunca mas”, mai più, il rapporto della commissione argentina).
Ricordo solo al riguardo che a Santiago, capitale del Cile, è stato istituito il Museo della Memoria e dei Diritti umani, che ho avuto modo di visitare pochi mesi fa, dove chiunque, gratuitamente, può avere accesso ad un’amplissima documentazione relativa ai crimini contro l’umanità commessi negli anni della dittatura militare.

Ci si deve chiedere allora perché nel nostro Paese il recupero della memoria di anni terribili sia affidato solo al racconto privato dei congiunti delle vittime, che fanno fatica a trovare canali per farsi ascoltare (è un’eccezione seppur lodevolissima il libro che ho menzionato poc’anzi) e non sia avvertito come un compito urgente ed inderogabile da chi detiene il potere.
Il problema è che la risposta a questa domanda potrebbe essere sgradevole.
Da un lato, non è detto che vi sia un interesse generale a fare luce su quelle vicende, perché potrebbero venir coinvolte responsabilità anche indirette che a tutt’oggi non si vogliono far emergere.
Dall’altro, è possibile - ed è sconfortante doverlo riconoscere - che in Italia non ci siano oggi le premesse per costituire una commissione pubblica, che goda di un prestigio generale basato sulla certezza della sua autonomia di giudizio; questo è il frutto disperante di decenni di lottizzazione delle coscienze.
E allora è proprio sulle coscienze che bisogna lavorare: l’università può farlo, mettendo a disposizione degli studenti e della comunità gli studi, le esperienze, la metodologia critica funzionali, non importa in quanto tempo, a fare onestamente memoria, cioè ad avere la capacità di ricordare, capire, giudicare.