Fotogrammi tratti dal film "Gomorra", fonte www.mymovies.it/gomorra

LE TERRE DI DON PEPPE DIANA

in
Il ruolo dei beni confiscati alla camorra nella creazione di capitale sociale
di Michele Mosca
Approfondimento: 

L’analisi economica del comportamento dei criminali suggerisce che la scelta di compiere attività che contrastano il contenuto di una norma sociale è guidato da una stretta valutazione e comparazione dei costi e benefici delle attività legali e illegali. I delinquenti, quindi, sono per la scienza economica, agenti razionali alla pari del consumatore e del produttore; tuttavia a differenza di questi soggetti, che consumano e producono beni e servizi per massimizzare il livello del benessere, i criminali commettono reati per entrare in possesso di risorse, non esclusivamente di natura monetaria, dirette e/o indirette, che sono in grado di aumentare la propria utilità (Becker 1968). Molteplici sono poi i fattori che possono condizionare il comportamento di tali soggetti e tra vi rientrano la probabilità di essere arrestati e puniti, gli effetti deterrenti attuati dalle istituzioni, la valutazione tra i rendimenti delle attività illegali e legali, le ineguaglianze salariali, i livelli di formazione, il contesto culturale e familiare, il territorio al quale si appartiene e tutte le variabili economiche e sociali che possono influenzare la propensione a commettere crimini, come le caratteristiche culturali, l’età e il genere degli individui.

Nuova Cucina Organizzata, trattoria-pizzeria della Cooperativa Agropoli-città dell’agro, composta anche da portatori di handicap.Gli strumenti di contrasto che un tale approccio suggerisce puntano ad individuare meccanismi che riducono i benefici e/o in modo equivalente aumentano i costi legati alle attività criminali. Per tali ragioni nel nostro ordinamento giuridico sono stati previsti diversi istituti volti a punire i comportamenti criminali attraverso la comminazione di multe, contravvenzioni, pene, etc. etc., così da disincentivarne la ripetizione da parte di tali soggetti e/o segnalare la “non convenienza” ad altri potenzialmente pronti a scegliere tra l’agire legale e illegale. È necessario, perciò, secondo alcuni studiosi incrementare uniformemente le pene per disincentivare azioni criminali (Armengol e Zenou, 2009).
A questo modo di (re)-agire si aggiunge, in funzione complementare, l’insieme di azioni e interventi che puntano a prevenire i comportamenti degli individui, in forma singola o organizzata, che contrastano l’ordinamento giuridico. Le politiche di prevenzione, infatti, se opportunamente implementate, possono ridurre i costi che il sistema di comminazione di punizione genera per un Paese e fornire un miglioramento complessivo.
Quale siano invece le azioni di prevenzione più efficaci da adottare rappresenta un problema più vasto da affrontare per la difficoltà nel determinare e nel far accettare alla comunità il tempo necessario affinché tali azioni generino i risultati sperati.
La forte azione di repressione dei fenomeni criminali registrata nel nostro Paese nel corso degli anni soprattutto nelle regioni meridionali, non ha evirato il problema della proliferazione delle organizzazioni criminali e tale constatazione ci spinge a chiederci con quali nuove politiche di contrasto le azioni di repressione hanno necessità ad affiancarsi
Come agire per esempio in quelle vaste zone del Paese, soprattutto nel sud, dove il fenomeno criminale ha assunto da tempo la conformazione di attività criminale organizzata? In altre parole esistono nuove politiche di contrasto al dilagare delle organizzazioni criminali?

Prima di provare a fornire una risposta a tale interrogativo è bene ricordare brevemente che per criminalità organizzata ci si riferisce ad un gruppo di soggetti che in via stabile, per perseguire i propri fini, arricchimento e potere, fa ricorso alla violenza e alla intimidazione - nelle più svariate forme - inducendo la popolazione in una condizione generale di sottomissione e omertà. Questo modo di operare rende le organizzazioni criminali, in particolare quelle che si sono sviluppate in alcune regioni, Sicilia, Calabria e Campania, soggetti che si contrappongono allo Stato perché in grado di governare meglio il territorio generando occasioni di lavoro e sviluppo del territorio. Per molto tempo queste organizzazioni si sono sostituite allo Stato e hanno rappresentato l’intermediatore di riferimento per imprenditori, lavoratori e classe politica/dirigenziale. Il distacco tra Stato e territorio ha agevolato la capacità delle organizzazioni criminali nel radicarsi nei territori ed esse, istituzionalizzandosi, sono riuscite a imporre con la forza e il sopruso il proprio modello di economia criminale. Le organizzazioni criminali come mafia, camorra e ndrangheta, si sono strutturate in modo stabile nel corso degli anni e si comportano come se fossero lo Stato o apparati dello Stato (Zamagni, 1993) e sono riuscite, utilizzando la forza dell’intimidazione, a creare un rapporto di fiducia con gli individui e con le istituzioni. Le organizzazioni criminali, infatti, si servono di legami e reti che costruiscono nei territori tra gli individui e tra questi e le istituzioni incutendo e ostentando forza e potere, aleggiando il mito dell’invincibilità sulle Istituzioni e la capacità di produrre ricchezza per gli aderenti, ma nello stesso tempo sottraendo risorse alla comunità e rendendola sempre più povera (Mosca e Villani, 2010).

Alla luce di quanto fin qui detto, un contributo alla lotta alla criminalità organizzata può provenire dall’individuazione di quegli strumenti con i quali è possibile indebolire le determinanti del consenso sociale utilizzato dalle organizzazioni criminali in modo da spezzare il circolo vizioso che va dall’impoverimento sociale e culturale al rafforzamento di un modello di sviluppo sostenuto dalla criminalità. Il sostegno di un modello di sviluppo economico e sociale che indebolisca i “vantaggi” del modello economico criminale volto esclusivamente all’arricchimento a tutti i costi, può contribuire a rompere il legame che le organizzazioni criminali hanno con il territorio.
Nel nostro ordinamento giuridico sono già in funzione da tempo strumenti giudiziari come il sequestro, la confisca e il riutilizzo per fini sociali dei beni appartenuti alle organizzazioni criminali, quest’ultimo reso possibile grazie al sacrificio di Pio La Torre, la legge 109/96, che stanno svolgendo un’importante azione deterrente alla diffusione di comportamenti illegali indebolendo il modello criminale.

Pasta prodotta dalle terre liberate dalla camorraL’alto valore simbolico che esercita il riutilizzo per fini sociali ed istituzionali dei beni appartenuti alle organizzazioni criminali può contribuire in modo positivo ed efficace a spezzare il ciclo vizioso che si instaura soprattutto nei territori a forte tradizione malavitosa tra creazione di reti sociali “illegali” e attività criminali. La legge 109/1996 consente alle organizzazioni di terzo settore di gestire i beni delle organizzazioni criminali e di farli “rivivere” per la creazione di attività di utilità sociale. La proliferazioni di organizzazioni produttive che massimizzano l’utilità sociale può agire in modo diretto sulla creazione di ricchezza di un territorio attraverso la produzione di beni e servizi e occasioni di lavoro aggiuntivi a quelli prodotti dal settore privato for profit e dal settore pubblico (Mosca e Villani, 2010) e nello stesso tempo può innescare comportamenti collaborativi e generatori di cooperazione tra gli individui e le istituzioni “buone” e consolidare un modello di sviluppo economico che si oppone a quello creato dalle organizzazioni criminali. Un aumento del numero di cooperative, di cooperative sociali e in generale di imprese sociali, unito ad una semplificazione e ad una centralizzazione in capo ad un unico soggetto pubblico responsabile delle procedure amministrative che governano le fasi di assegnazione dei beni confiscati possono incrementare gli effetti diretti ed indiretti sui livelli di ricchezza attraverso la produzione, alimentazione e manutenzione delle componenti del capitale sociale come la fiducia, il rispetto delle regole civili, gli ampliamenti degli spazi di cittadinanza attiva, attraverso cioè quegli elementi che migliorano i livelli della qualità di vita degli individui che hanno senza dubbi effetti positivi nel contribuire ad innescare percorsi di legalità e rispetto delle regole.
In provincia di Caserta è in azione da alcuni anni una forte rete, di individui, associazioni, cooperative e Istituzioni, che riutilizzando i beni confiscati alle organizzazioni criminali stanno provando ad innescare processi virtuosi di crescita economica e sociale che, forieri di una forte azione di sistema, possono contribuire a bloccare quel “processo di gomorizzazione”, un processo lento e graduale che dura da diversi anni, che ha trasformato questo territorio tra i più belli d’Italia in terra dei mali e dei vizi, dove prevale il malaffare, la corruzione, la camorra, la prepotenza dei forti sui i più deboli e dove sembra aver preso il sopravvento un modello illegale di sviluppo economico che opprime l’economia legale distruggendo alle sue radici il capitale sociale.

La provincia di Caserta oggi non è solo Gomorra e camorra, è la terra di don Peppe Diana - il sacerdote ucciso dalla camorra nel 1994 mentre si accingeva a celebrare messa - e di tante altre vite innocenti spezzate che con il sacrificio della propria vita hanno dato impulso alla nascita di un movimento fatto di persone, organizzazioni e Istituzioni “buone”, che con fatica e impegno lavora a un cambiamento possibile. Un movimento che ha innescato un processo di trasformazione che vede come volano per lo sviluppo sociale ed economico l’uso sociale e produttivo dei beni confiscati alla criminalità organizzata reso possibile dalla legge 109/96 e dalle possibilità di azione che essa concede alle organizzazioni non profit nella loro gestione.
Sono nati percorsi di inclusione sociale e di lavoro, recuperando le terre che la camorra con "il sangue dei morti ammazzati" aveva usurpato al territorio, sottraendo risorse, dignità e diritti alla gente. Quei patrimoni, un tempo simboli del potere dei camorristi sui territori da loro dominati stanno diventando risorse per la costruzione di capitale sociale e di senso civile.
Sono queste le terre di don Peppe Diana, Comunità educative, solidali e sane. Territori generatori di rinnovata identità e di un cambiamento possibile che utilizzando e valorizzando le capacità, i talenti e le sensibilità in loco e collegandoli stabilmente con le forze sane, nazionali ed internazionali, può generare il riscatto culturale, sociale ed economico di intere comunità dall’oppressione del giogo delle organizzazioni criminali e del modello di economia che esse generano.
Forse è questo un possibile modello di sviluppo, culturale e sociale, che può affiancare le politiche repressive.