Simposio internazionale "Pro e contro la trama", foto Agf Bernardinatti

SULLA CONTENTEZZA: DIALOGO CON LO SCRITTORE GIANNI CELATI

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La discussione sul romanzo al simposio internazionale "Pro e contro la trama”
di Massimo Rizzante

A Trento, durante il Simposio Internazionale “Pro e contro la trama”, che si è tenuto nei giorni 11 e 12 novembre 2010, ho posto alcune domande a Gianni Celati. Dopo qualche settimana, ritornato a Brighton, dove vive, lo scrittore ha voluto rivedere il nostro breve dialogo. Stava ultimando la sua traduzione dell’Ulisse di Joyce.

M. R. Tutto è ‘vago’ a questo mondo, nel senso che Leopardi dava a questa sua parola-chiave. Ma allora abbiamo davvero bisogno di trame?

Gianni CelatiG.C. In realtà più che di trame c’è sempre più la necessità di perdersi nel ‘vago’, nell’incerto. C’è sempre più bisogno di un’incertezza che ti renda il corpo o gli organi meno fissi del solito, meno simili a una statua. Il testo delle “Operette morali” di Giacomo Leopardi, con il dialogo tra Torquato Tasso e il suo genio familiare, è forse il punto-chiave più importante nella nostra letteratura. Il genio familiare promette a Tasso di fargli apparire durante il sonno la figura dell’amata Eleonora. Tasso obbietta che in questo modo nei suoi sogni lui vedrà la sua amata soltanto come una figura evanescente. Il genio risponde che non c’è altro se non questa vaghezza che produce in noi l’amore, e che ci guida. Conclude così: “Sicché, tra sognare e fantasticare tu andrai consumando la tua vita, con l’unico scopo di consumare il tempo per niente. Ed è il sogno, là dove ci troveremo pronti al sonno, alle fantasie, allo sfuggente amor - senza fissare ciò che è solo un’altra fantasia”.

M.R. Ti ho invitato a Trento, dopo il nostro incontro a Bologna dove con Cavazzoni, Benati, Cornia e altri, abbiamo dato vita all’incontro “Spazzavento” [vedi sito rivista "Linsolito", n.d.r.]. Mi sono detto che se ci è venuto in mente di chiamare un’avventura “Spazzavento”, vuol dire che abbiamo avvertito nell’aria italiana qualcosa di irrespirabile…

G.C. Sì, la nostra epoca ha qualcosa di totalmente irrespirabile, cominciando dalla intesa tra i potenti, con le forme sportive attuali, per arrivare alle attualità artistiche... E infine al coro delle novità alla moda - che corrispondono ai “cadaveri della moda”, di cui parlava Walter Benjamin. È come se fossimo condannati a dover ripetere gli stessi gesti e le stesse vite legate a tecniche bancarie o finanziarie, fino al punto in cui le attività calcistiche o i mobili Ikea diventano punti d’arrivo obbligatori e consacrati a monumenti Ikea.

M.R. Durante l’incontro bolognese, ed anche qui a Trento, durante il simposio internazionale “Pro e contro la trama”, che si è tenuto nei giorni 11 e 12 novembre, hai pronunciato diverse volte la parola ‘contentezza’, quasi fosse un amuleto. Che cosa intendi dire?

G.C. Mi sembra inevitabile. In una condizione dove tutti mirano alla ricchezza, ai vestiti appena comprati, alle mode con le stesse tristezze di vita, alla stessa vita grigia, la vita in competizione con le pubbliche tristezze - in questo stato d’essere, mi sembra che la risorsa da adottare sia quella della ‘contentezza’. Non si tratta di evocarla come esuberanza festaiola, ma come ‘gusto’ di stare insieme, di scambiarsi i pensieri che si sono accumulati negli anni, di incontrarsi senza nessuna meta e senza nessuno scopo preciso. Fare amicizia, più che mettere le piaghe sulla piaga. Poi questo stato di contentezza mi sembra qualcosa che ci porta avanti, che ci aiuta negli scambi. Non si fanno ‘ridicolate’ a ruota libera, ma si parte da un’idea comune: che da qualche parte esiste un isolotto dove tutti siamo contenti di riunirci - con magari anche una rimessa in questione dell’eros, come lo pensava Delfini.
Contentezza, eros, amicizia, voglia di capirsi l'un l'altro: ecco il luogo che forse un giorno o l’altro ci radunerà, magari come un ritorno ai lidi mediterranei, a un modo occidentale di avvicinarsi a qualcosa che in passato si diceva ‘stoico’.

M.R. Sì. L’idea è di mettere da parte le lamentazioni, ma anche la forma classica della ‘critica sociale’…

G.C. Il bello di questa ‘contentezza’ sta proprio nel fatto di abbandonare la ‘critica sociale’ e ritrovare certi modi di discussione antichi.

M.R. Forse cercare di raggiungere uno stato di contentezza vuole anche dire aprirsi a quella che tu chiami eccezione interiore. Da dove viene questa idea?

G.C. La questione è di non parlare troppo di “soggettività”, ma piuttosto del confronto tra l’individuo che guarda il cielo e la forma del cosmo. In questa direzione tutto sta per diventare diverso. Siamo nell’epoca dei grandi slanci…

M.R. Durante il simposio ho notato che diversi partecipanti hanno puntato sull’attualità. Ora, nell’attualità soffia un solo vento che vuole spazzare tutto il passato. Anzi, c’è una vera competizione a liberarsi di ogni reciprocità, di ogni vincolo antropologico in nome di un ‘uomo nuovo’ privo di ‘nous’ e ‘fantasia’, che in fondo sono la stessa cosa… Non è un caso che il tuo intervento sia iniziato provocatoriamente dalle trame del paleolitico…

G.C. Sì, l'interesse per il paleolitico... nato come un’associazione agricola. Mentre ero in Africa pensavo a tutti questi legami, che ancora l’India di oggi, ad esempio, si porta dietro.

M.R. Dai tempi della rivista “Il Semplice” (1995-1997), la tua idea è sempre stata quella di creare racconti dove la trama non è così importante. Ciò che è importante è la meraviglia. Perché?

G.C. La questione della meraviglia è molto importante, e credo che vada pensata attraverso le forme fluide di Bachelard. Ripensare la meraviglia significa ripensare a tutto.