Shylock, foto Raffaella Cavalieri, IguanaPress

SHYLOCK: IL MERCANTE DI VENEZIA IN PROVA

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Incontro con Moni Ovadia e Shel Shapiro nell’ambito del ciclo Theatrum Philosophicum della Facoltà di Lettere
di Michele Flaim
Approfondimento: 

Nel contesto dell'iniziativa “Theatrum Philosophicum”, lo scorso 26 febbraio, nella platea del Teatro Sociale di Trento si è svolto l'incontro con Moni Ovadia e Shel Shapiro, protagonisti dello spettacolo “Shylock: il Mercante di Venezia in prova”.
Ovadia, che con Roberto Andò firma testo e regia dello spettacolo – si confronta con il personaggio di Shylock, che aveva sempre rifiutato di interpretare nonostante le molte richieste ricevute in quanto “ebreo più famoso del teatro italiano”. Ispirandosi alla pratica registica di Tadeusz Kantor, Ovadia non recita (jouer) il testo di Shakespeare, ma entra in relazione ludica con esso (jouer avec), mettendosi, a sua volta, in gioco. Lo spettacolo instaura così un rapporto dialettico con il testo, un andirivieni tra il play di Shakespeare e la nostra contemporaneità, nella cornice del teatro del teatro. Ovadia interpreta, infatti, il ruolo di un vecchio regista da tempo inattivo, che viene convinto da un  ambiguo impresario (Ruggero Cara) ad allestire “Il mercante di Venezia”. Il regista intende impiegare per la messa in scena il vero Shylock (Shel Shapiro) per fargli ottenere finalmente quella libbra di carne che da quattrocento anni gli viene negata e lo costringe a un'agonia senza fine. Nel finale, tuttavia, l'ipotesi registica di rovesciamento del testo shakespeariano naufragherà e non solo Shylock verrà ancora una volta gabbato, ma lo stesso regista dovrà cedere il proprio cuore - la propria anima d'artista - al mefistofelico impresario.

Una scena di Shylock, foto Raffaella Cavalieri, IguanaPressCome in Shakespeare, la scena si apre con il monologo sulla tristezza di Antonio, recitato dal regista, tristezza che diventa anche la nota dominante dello spettacolo. Ben presto però il personaggio di Antonio passa all'impresario (già animatore sulle navi da crociera!) e il regista si appropria di tanto in tanto del personaggio di Shylock, quando questi crolla esausto sul letto d'ospedale, assistito da un'infermiera (Lee Colbert) che interpreta anche il ruolo di Nerissa, la cameriera di Porzia (Federica Vincenti), che per parte sua è un'attrice disposta a tutto. Il regista e l'impresario si appropriano all'occorrenza anche delle battute di Bassanio, in uno stimolante, ma anche estenuante e non sempre drammaturgicamente perspicuo, gioco delle parti che, tra sostituzioni, spostamenti e rovesciamenti sottopone lo spettatore all'alterno rischio della sovrainterpretazione e dello smarrimento.
Attraverso l'uso di una molteplicità di lingue e linguaggi, di luoghi e circostanze polisemici, lo spettacolo agita temi di grande portata e attualità: quello del senso e delle condizioni di possibilità del teatro, quello della dignità umana, quello - che tutti attraversa e, fatalmente, perverte - del potere e del denaro. Il teatro (“ma il mondo stesso è teatro” dice l'Antonio di Shakespeare) se vuole esistere non può sottrarsi alle logiche del mercato e così l'impresario può comprare l'anima del regista e il corpo dell'attrice che interpreta Porzia. Eppure il teatro non può solamente esistere, ma deve anche essere se stesso: luogo di verità attraverso la finzione, strumento di elevazione civile, critica dell'arroganza del potere.

Con la figura di Shylock, l'oppresso, il diverso, l'umanità che patisce, si fa strada la nozione di dignità umana. Centrale in questo senso il celeberrimo monologo della prima scena dell'atto terzo (“Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, sensi, passioni... Se ci pungete non sanguiniamo?”), che viene ripreso e variato reiteratamente per distillarne il significato e trarne le ultime conseguenze. Infatti, quel monologo significa l'universale umano, l'identità umana - biologica e antropologica - in quanto tale, l'égalité di principio che spetta a qualsiasi supposto diverso, la parità dei diritti a prescindere da qualsiasi differenza etnica, religiosa, di genere, di condizione sociale. La conseguenza ultima è che questo principio non vale solo per ebrei, musulmani, rom, donne, omosessuali, e in genere per le vittime di discriminazioni, ma vale anche per i carnefici. Tanto che quel monologo viene recitato in tedesco mentre scorrono le immagini di un discorso di Hitler e alla parola ebreo è sostituita quella di nazista.

Una scena di Shylock, foto Raffaella Cavalieri, IguanaPressLa provocazione è forte e, infatti, lo stesso testo mette in scena la reazione indignata (in spagnolo) dell'infermiera. Eppure, si tratta di un passaggio cruciale: significa che l'universale umano precede la stessa distinzione di bene e di male. E questo comporta che in quanto essere umano il nazista può essere sottoposto alla legge (una bestia, un mostro non è perseguibile), ma al tempo stesso significa che ognuno di noi è costitutivamente aperto alla possibilità del bene e del male.
Lo spettacolo ha messo in gioco un complessa rete di significati trasfigurandoli artisticamente e l'incontro con i protagonisti ha contribuito a chiarirne alcuni nessi fondamentali. “Il razzismo - ha ribadito Shel Shapiro - è latente in ciascuno di noi, disponibile ad essere risvegliato da retoriche perverse. Il teatro può contribuire a scongiurare questo pericolo.”