BIODIRITTO: IL DIFFICILE RAPPORTO TRA SCIENZA E LEGGE

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Tutelare la dignità delle persone e il diritto alla salute tenendo conto delle nuove acquisizioni scientifiche
di Carlo Casonato
Approfondimento: 

I rapporti fra il diritto e gli altri saperi mutano nel tempo e nello spazio. A periodi in cui la dimensione giuridica arricchiva e veniva arricchita dalle altre scienze sono seguiti momenti di forte incomprensione e di aperta ostilità. Le negazioni, d’altro canto, sono state reciproche. Se è talvolta un diritto intriso di pregiudizio religioso ad ostacolare la scienza, è altre volte un pensiero scientifico ignaro dei propri limiti a negare fondamentali regole giuridiche. Così, se Galileo Galilei è costretto “a negare ciò che sta scritto a chiare lettere nel gran libro della natura”, le pseudo sperimentazioni del blocco 10 di Auschwitz non tengono in nessun conto la dignità umana, mentre le ricerche scientifiche di Tuskegee in Alabama sulla progressione naturale della sifilide proseguono ben oltre la data che segna l’inizio dell’impiego della penicillina.
In tempi più recenti si è riproposto con forza il principio secondo il quale il diritto e le altre scienze devono interagire, condizione indispensabile per non smarrire il proprio senso epistemologico. Per dirla con Mariachiara Tallacchini, si assiste all’emersione di un “atteggiamento più critico e autoriflessivo nel pensare le interconnessioni e la reciproca produzione di conoscenze e norme tra diritto e scienza”.

All’interno di questo tragitto di riavvicinamento, la Corte costituzionale italiana non ha mancato di ricordare al Parlamento il principio secondo cui imposizioni o divieti in ambito terapeutico debbano tenere in debito conto le acquisizioni scientifiche. La legge sulla procreazione medicalmente assistita, per fare un esempio, è stata dichiarata incostituzionale proprio nella parte in cui imponeva condotte che, non essendo fondate sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche, giungevano a pregiudicare il diritto alla salute della donna. Imporre il trasferimento in utero di tutti gli embrioni prodotti in vitro, fino ad un numero di tre, significava infatti non considerare i rischi di una gravidanza plurigemellare. E in termini generali, dice ancora la Corte, il vizio della legge stava nel non riconoscere al medico “la possibilità di una valutazione, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, del singolo caso sottoposto al trattamento, con conseguente individuazione, di volta in volta, del limite numerico di embrioni da impiantare” (sent. 151 del 2009).
Quindi, se la scienza non può procedere senza rispettare determinati limiti imposti dalla tutela della dignità e dei diritti fondamentali, nemmeno il diritto può imporre scelte che abbiano a che fare con la salute delle persone senza fondarsi sulle più aggiornate risultanze scientifiche.

Detto questo, va aggiunto come i più avanzati settori della ricerca tendano costantemente a riaprire il rapporto con il diritto. La genetica e le neuroscienze, al riguardo, fanno emergere dati tutti da interpretare anche a livello giuridico. Nell’ipotesi, ad esempio, in cui una persona che ha commesso un delitto presenti una variante genetica che alcuni studi associano ad una maggiore aggressività, sarà possibile ritenerla “meno colpevole” riducendo l’entità della pena? Proprio un caso simile, risolto dalla Corte di Appello di Trieste nel novembre 2009 con la riduzione di un anno della pena comminata in primo grado anche a motivo della presenza nel condannato della variante del gene MAOA (cd. caso Bayout), ha costituito l’occasione, nell’ambito della quarta edizione del Forum BioDiritto, che si è svolto a Trento il 26 e 27 maggio 2011, per una tavola rotonda dedicata a “Neurogenetica e giustizia”, fra genetisti, neuroscienziati e giuristi.
A fronte delle decise e condivise critiche verso ogni associazione in forma diretta fra genetica e comportamento, associazione scientificamente ancor prima che giuridicamente discutibile come evidenziato da Jens Volkmar Schwarzbach e Alessandro Quattrone, il giudice Amedeo Santosuosso della Corte d’Appello di Milano ha considerato l’opportunità di mantenere aperte le possibilità di ritrovare in ambito scientifico nuovi e potenzialmente validi elementi di prova anche in riferimento alla capacità degli imputati. La giornalista Daniela Ovadia, inoltre, ha contrapposto alla base biologica del comportamento una base sociale dello stesso; base sociale su cui appare più utile intervenire.

L’incontro è proseguito il giorno dopo con il convegno dedicato a “Genetica, diritto e diritti” all’interno del quale diverse area di ricerca presenti all’interno del Dipartimento di Scienze giuridiche si sono confrontate sulla disciplina nazionale, europea e internazionale dei diversi ambiti in cui la genetica si trova coinvolta. Rischi e potenzialità sono stati così messi in luce attraverso una serie di relazioni che hanno trattato dei pericoli della discriminazione genetica e del diritto internazionale ad essi dedicato, della importanza e delicatezza della consulenza genetica, della tutela antidiscriminatoria nel settore gius-lavoristico, dell’importanza e dei limiti dell’utilizzo della dimensione genetica nell’ambito del processo penale e dei pericoli di uno sfruttamento iniquo delle risorse biogenetiche.
A termine dei lavori, si è potuto osservare come il diritto (di produzione legislativa, in particolare) non sempre si ponga come punto di contatto fra le potenzialità che la genetica offre e la tutela dei diritti delle persone. Anziché condurre la genetica verso la tutela dei diritti individuali e collettivi, anche delle generazioni future, alcune scelte adottate a livello sia nazionale che internazionale paiono costituire un ostacolo alle potenzialità offerte dalla genetica nel rafforzamento di alcuni diritti fondamentali.