CONFLITTI, PACE E ISTITUZIONI

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Il ruolo di agenzie, governi, ONG e società civile nelle crisi internazionali
di Roberto Belloni e Mauro Cereghini

“Conflitto, pace, costruzione dello Stato e istituzioni locali” è il titolo di un convegno nazionale sul ruolo che agenzie internazionali, governi, ONG (organizzazioni non governative) e società civile svolgono nelle crisi internazionali. Organizzato dalla Scuola di Studi internazionali dell'Università di Trento e dal Centro per la Formazione alla Solidarietà internazionale di Trento, si è svolto l'1 e 2 marzo scorsi presso la Facoltà di Economia.

Sedici i relatori selezionati tramite una call for papers, cui hanno aderito oltre quaranta tra ricercatori di università italiane e cooperanti impegnati in diversi contesti di conflitto o ricostruzione post-bellica. Un centinaio i partecipanti iscritti al convegno.

Prima delle relazioni una sessione ha introdotto il dibattito internazionale sui temi del peacebuilding e dello state building. Ospiti tra gli altri Stephan Massing, responsabile per l'OCSE (Organizzazione per la coodel gruppo di lavoro su conflitti e Stati fragili, e Thania Paffenholz, ricercatrice dell'Istituto di Studi internazionali e dello Sviluppo di Ginevra. In conclusione invece una tavola rotonda con il professor Filippo Andreatta, responsabile per la Fondazione Bruno Kessler (FBK) del nascente Centro ricerche sui temi della guerra, della pace e del mutamento internazionale, Michele Nardelli presidente del Forum trentino per la pace e i diritti umani e Massimo De Marchi dell’Università di Padova.

Il convegno ha inteso aprire la riflessione, poco diffusa a livello accademico italiano, sugli interventi internazionali in contesti di guerra e violenza diffusa, ponendo attenzione particolare al ruolo delle istituzioni locali. Altro obiettivo era aprire un canale di comunicazione tra mondo della ricerca e operatori sul campo, favorendo il confronto reciproco con un approccio interdisciplinare. 

Non è semplice sintetizzre la ricchezza di un dibattito, che ha coinvolto politologi, giuristi, economisti e sociologi, ma anche antropologi, geografi e storici. Alcuni punti sono comunque emersi chiaramente, a partire dall'ambivalenza dell'approccio locale alla costruzione della pace. Da un lato vi è un'ampia fiducia degli attori internazionali nel ruolo delle autonomie territoriali, e nel rafforzamento delle istituzioni locali come soluzione ai conflitti. D'altro lato questo auspicio si traduce spesso in mero decentramento amministrativo, rivelandosi uno strumento poco utile. Ad esempio in Iraq ha aperto le porte a un modello di sviluppo territoriale sbilanciato, mentre in Bosnia Erzegovina il decentramento è corresponsabile di immobilismo e frammentazione.

Secondo, l’intervento internazionale nelle aree di conflitto dimostra un preoccupante gap tra principi e prassi. Le organizzazioni internazionali si sono impegnate a intervenire sulla base di un'analisi accurata della situazione sul terreno ed in partnership con gli attori locali. In realtà, anche quando l'analisi viene effettuata, nella maggior parte dei casi non se ne tiene conto per guidare l’intervento. Inoltre i partenariati sono spesso tali soltanto sulla carta, mentre riflettono rapporti di potere fortemente diseguali tra attori internazionali e locali. 

Terzo, concetti astratti come ‘partecipazione’, ‘good governance’ e ‘pace’ non hanno significati pratici condivisi, sia perché si innestano su universi culturali differenti sia perché sono frequentemente appropriati dagli attori principali e utilizzati in maniera strumentale. In Sri Lanka, ad esempio, monaci buddisti hanno spesso manifestato contro le proposte di pace tra la loro comunità e quella cingalese avanzate a livello internazionale. In Etiopia il collegamento tra nomadismo e povertà, teorizzato dal governo e accettato dagli attori esterni, è messo in discussione dagli stessi pastori nomadi.

Quarto, la memoria dei conflitti, e più in generale la ricostruzione del passato, sono elementi fondamentali e controversi nella gestione delle crisi violente e del loro lascito. Spesso storia e memoria sono utilizzate come repertori strumentali alla polemica politica tra gli attori in conflitto e perciò l'intervento di pace della comunità internazionale non può trascurarle.

Quinto, il rapporto tra gli stessi attori internazionali, e in particolare tra militari ed ONG, rimane difficile e controverso. Le forme assunte dalle nuove guerre - dove crescono la privatizzazione della violenza e la militarizzazione degli spazi civili - spesso non prevedono più spazi neutrali e le ONG devono scegliere tra il non intervento e forme di collaborazione con le componenti militari. La scelta ad esempio di alcune di loro, come di altre istituzioni non statali, di partecipare a operazioni congiunte con le forze militari internazionali in Iraq e Afghanistan, costituisce una sfida radicale al pensiero umanitario tradizionale. 

Molti spunti dunque, per un percorso di ricerca che il convegno ha solo avviato.