COME RIPENSARE IL NOSTRO TEMPO ATTINGENDO ALLE RADICI

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Al Seminario permanente Mario Untersteiner incontri su mito, eroe ed enigma
di Giorgio Ieranò

L’uomo greco viveva in un mondo popolato di divinità e di eroi. L’attitudine al pensiero razionale, così forte nella tradizione greca, conviveva sempre con una mentalità che tendeva a rappresentare l’universo attraverso le figure e le storie della mitologia. Ma chi erano davvero gli eroi e le divinità degli antichi? Cosa significava credere in loro? E cosa possono dire ancora oggi queste figure agli uomini del XXI secolo? Quanto abbiamo ancora da imparare dal mondo mitologico antico, i cui personaggi continuano a essere fondamentali nella tradizione culturale europea, onnipresenti nella letteratura come nell’arte di tutto l’Occidente?

Per rispondere a queste domande il Seminario permanente “Mario Untersteiner” ha organizzato nei mesi scorsi un ciclo di incontri a cui hanno partecipato due tra i maggiori studiosi italiani della mitologia antica, Giulio Guidorizzi e Maurizio Bettini, e un celebre enigmista e semiologo, Stefano Bartezzaghi. Gli incontri hanno riguardato tre parole chiave: “mito”, “eroe” ed “enigma”. Sono tre fra le tante parole che abbiamo ereditato dalla Grecia antica e che sono entrate non solo nel nostro lessico ma persino nel nostro gergo colloquiale (“Sei un eroe”, “Non fare l’eroe”, eccetera). Ma è probabile che i greci non avrebbero condiviso l’uso che noi facciamo abitualmente di questi termini. C’è uno iato tra il senso originario di queste parole e il senso che comunemente si attribuisce loro. Misurare questa distanza tra il linguaggio degli antichi e quello dei moderni significa anche esercitarsi a ragionare sulle differenze, imparare a non dare per scontati i significati più ovvi delle parole, smascherare gli inganni di ogni discorso stereotipato.

Così Giulio Guidorizzi, docente all’Università di Torino, ha spiegato chi erano davvero, per gli antichi greci, gli eroi. “Eroe” è diventata una parola comune anche nel nostro vocabolario, dove designa una persona coraggiosa, disinteressata, che rischia la sua vita a beneficio degli altri. Ma, nell’antica Grecia, l’eroe era una figura più complessa ed enigmatica, non priva di ombre e di lati oscuri. L’eroe era innanzitutto una creatura smisurata, un essere prodigioso, sempre eccessivo nel suo furore e nelle sue passioni, fino al limite di comportamenti che oggi definiremmo criminali. Ed era anche e comunque, un essere semidivino: lo si poteva venerare come si fa oggi con i nostri santi patroni, raccogliere le sue reliquie, portare offerte sulla sua tomba. Sul filo del mito si è mosso invece Maurizio Bettini, docente all’Università di Siena e all’Università di Berkeley (California), indagando una delle figure più misteriose della mitologia latina, Vertumnus, signore delle stagioni e delle metamorfosi, noto anche per il celebre dipinto in cui fu immortalato dal pittore rinascimentale Arcimboldo. Vertumnus, era capace di trasformarsi in qualsiasi creatura umana, poteva cambiare ceto e sesso a suo piacimento. La sua principale caratteristica è quella di non avere alcuna identità stabile. Ed è proprio la questione dell’identità, del rapporto tra l’individuo e il suo ruolo sociale, a essere chiamata in causa dalla figura di Vertumnus. Una sfida anche per noi contemporanei.

Altra parola che abbiamo ereditato dall’antichità è “enigma”. L’enigma è una forma che racchiude i misteri della vita umana e del cosmo. La Grecia, terra del logos, della ragione, è al tempo stesso la terra dell’enigma. Anche nella forma ludica dell’indovinello, l’enigma non perde mai tutta la sua terribile serietà: Omero, raccontavano gli antichi, si uccise per non essere riuscito a rispondere a un indovinello postogli da alcuni pescatori (“Quello che noi abbiamo preso, l'abbiamo lasciato; quanto non abbiamo preso, ce lo portiamo”. Risposta: le pulci). È toccato quindi, a chiusura del ciclo, a Stefano Bartezzaghi, semiologo ed editorialista di Repubblica, indagare il filo sotterraneo che lega l’enigma antico all’enigmistica moderna, la Sfinge al cruciverba. Raccontando al tempo stesso la sua esperienza di uomo di cultura che, pur non avendo una formazione classica, si è trovato quasi fatalmente a doversi misurare con le figure della mitologia antica, restando impigliato nelle maglie del loro fascino.

Il racconto che Bartezzaghi ha fatto di questa sua esperienza rende perfettamente lo spirito del ciclo e dell’intera attività del Seminario Untersteiner, avviata nel dicembre 2009 dalla Biblioteca Civica “G. Tartarotti” di Rovereto e dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, con il sostegno dell’Accademia roveretana degli Agiati e del Liceo Rosmini di Rovereto e con il coordinamento scientifico di chi scrive. Non ci si vuole interrogare sull’antichità come su un’eredità inerte e morta, un lascito archeologico da destinare alle sole cure degli eruditi. Né, tantomeno, si vuole “attualizzare” il passato, ridurre l’antichità alla misura del nostro presente. L’obiettivo, assai più ambizioso, è piuttosto quello di mettere in gioco gli antichi per ripensare il nostro tempo. Tutto quello che noi diamo per scontato non è affatto scontato, ma è anzi una complessa costruzione simbolica che ha alle sue spalle una lunga tradizione culturale. I miti e la cultura dei greci servono innanzitutto a mettere in crisi il nostro senso comune, aiutandoci a guardare le cose da una prospettiva diversa, non banalmente appiattita sul presente.