QUALE FUTURO PER L'UNIVERSITÀ PUBBLICA E PER I GIOVANI PRECARI IN ITALIA?

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Professori e giovani ricercatori a confronto in un dibattito tenuto durante “La Notte dei Ricercatori”
di Lorena Cebolla e Federica Cognola

Le questioni di cosa sia l'università, di quale modello e quale funzione essa debba avere sono temi, come quello del precariato, assenti dalla vita pubblica e dalla politica italiane. Come nota Francesco Ghia, sono lontani gli anni di scontro dialettico tra i più grandi pensatori viventi rispetto a come dovesse essere l'università tedesca: il confronto dialettico tra von Humboldt, Schlegel e Schleiermacher nella Germania di inizi '800 che ha portato all'università moderna è un ricordo lontano ed un'utopia per l'Italia, dove gli intellettuali si occupano di tutt'altro.

La situazione dell'università italiana rispecchia quella del paese: immobilismo, stanchezza e mancanza di un progettualità e, analogamente a quanto avviene nel paese, anche in università sono i giovani ad essere più penalizzati. Come sottolineato da Paolo Barbieri e da Marco Andreatta la concentrazione dei rischi sociali grava sulle donne e sui giovani sotto i 35 anni: la deregolamentazione del mercato del lavoro degli anni '90 ha avuto effetti soprattutto sulle modalità d’ingresso al mondo del lavoro. In Italia, per esempio, ci sono 37 contratti flessibili diversi che rappresentano di fatto l'unica forma di entrata nel mondo del lavoro.

Questo ha creato una sottoprotezione dei giovani, che non riescono a lasciare le famiglie e ritardano l'uscita di casa e l'indipendenza. Anche la frammentazione del mercato del lavoro costituisce  una pesante ipoteca sul futuro delle giovani generazioni. Quello del precariato universitario rappresenta un sottoinsieme di questo problema più generale. Sebbene queste tematiche siano comuni a tutti i paesi europei, sembra che la situazione italiana sia peggiore: all'estero generalmente il precariato è comunque ben pagato e prevede gli stessi diritti (malattia, maternità, etc) delle posizioni permanenti. Questo permette ai ricercatori di costruirsi una carriera e una famiglia. In Italia, invece, i salari sono alti a carriera già avviata e bassi in entrata e nei gradi inferiori della gerarchia universitaria, e la frammentazione della ricerca - causata ad esempio dal lavoro a progetto (strutturato in periodi molto brevi) e dalla discontinuità che spesso lo caratterizza - impedisce di costruirsi un ambito di ricerca forte. Inoltre, le tutele per i precari sono più basse o inesistenti rispetto ai posti permanenti: per esempio, il congedo di maternità, quando previsto, non è pagato. E anche nella riforma del sistema universitario poca attenzione è stata prestata alle questioni inerenti il mondo del lavoro universitario.

Le vie d'uscita suggerite da Barbieri sono molteplici: valutare le università e finanziare solo quelle di qualità; incentivare, tramite finanziamento, gli atenei che investono sulla ricerca di qualità, e valutare dipartimenti e dottorati in base ai risultati della ricerca fatta secondo criteri che sono standard a livello internazionale, ma molto meno in Italia; favorire il turnover inserendo un obbligo di pensionamento ad una certa età, come avviene ad esempio in Germania, dove tale limite è posto a 65 anni; differenziare i salari in base alla produttività e al merito.

Il sistema attuale permette di entrare solo a chi può aspettare e quindi non premia il merito. La necessità di puntare sulla qualità e di favorire lo scambio delle persone e delle idee tramite mobilità internazionale e collaborazioni con enti e università stranieri è stata sottolineata anche da Annaluisa Pedrotti.

La condizione di precarietà sistematica ha un effetto pesante sia sulla vita delle persone, sia a livello di sistema, ha osservato Michele Nicoletti. “La polverizzazione della vita significa anche frammentazione della ricerca”. Ma non solo. Il blocco dell'innesto di forze giovani nel pieno della creatività provoca una staticità del sistema di ricerca che si preclude così la possibilità di esplorare nuove vie. Alla precarietà non si risponde con la stabilizzazione “ope legis”: queste misure adottate in passato non sono la soluzione al problema, anzi, ne sono la causa perché hanno saturato il sistema.

Per individuare delle possibili soluzioni bisogna ripensare il  sistema universitario, in particolare nella fase del reclutamento. Prima di tutto la selezione deve valorizzare e garantire la qualità, fissando dei criteri oggettivi che la ricerca dei candidati che aspirano alla stabilizzazione deve rispettare. Serve poi un meccanismo stabile di concorsi annuali o biennali con procedure trasparenti, mentre non serve un continuo cambiamento dei meccanismi, ogni volta diversi, con migliaia di candidati e poi abilitati che rischiano di bloccare il sistema.

La ricerca e la società devono tornare poi a confrontarsi: ora sono due sistemi che non comunicano più. Ed è necessario un riordino dei contratti di ricerca che è troppo caotico. Nicoletti suggerisce un sistema tripartito con borse di dottorato triennali, assegni di ricerca post-doc a cui va aggiunto un programma di tenure tracks di durata variabile (3+3 o 4+4).  Alla fine di questo percorso chiaro e trasparente, i ricercatori devono avere la possibilità di fare un concorso o di accedere se meritevoli ad altro impiego. Fino ad ora nel sistema italiano e anche trentino si è preceduto in “ordine sparso”, mentre serve una progettazione, con meno posizioni, che possano durare più a lungo, creando una reale sinergia tra gli enti di ricerca, il sistema delle imprese, le istituzioni scolastiche e culturali, creando posizioni di interesse comune nei settori chiave.

In una situazione così grave Marco Andreatta suggerisce che, analogamente alle “quote rosa”, bisognerebbe introdurre delle “quote giovani” e che i professori ordinari dovrebbero rinunciare ad alcune delle proprie prerogative. È essenziale oggi individuare nuove forme di coinvolgimento e partecipazione – anche in termini di cariche e incarichi di rappresentanza - che permettano a tutte le persone operanti nel mondo universitario di poter esprimere la propria voce e valorizzare l’esperienza maturata, nell’ottica di porle al servizio della collettività.