Intervista a Eric Johnson e Ilana Ritov

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NELLE DECISIONI PESA DI PIÙ L’EMOTIVITÀ O LA RAZIONALITÀ?
di Alessandra Saletti
 
Davanti ad una decisione ognuno di noi si chiede spesso se scegliere con il cuore o con la testa. Gli esperti di psicologia della decisione, behavioral law ed economia comportamentale, ospiti del convegno SPUDM di Rovereto, sono da anni impegnati nello studio delle dinamiche che rendono così unico il comportamento umano. Sono infatti le decisioni che gli individui prendono in ogni occasione della loro vita (dalle scelte più banali di ogni giorno, ai provvedimenti su ampia scala) ad essere influenzate da fattori di tipo psicologico. Con conseguenze talvolta imprevedibili e clamorosi errori di previsione e valutazione anche nelle politiche pubbliche. In effetti, molti studiosi ormai concordano sul fatto che la perfetta razionalità, il calcolo statistico e le rigide concatenazioni causa-effetto che dominano nelle teorie economiche, poco hanno in comune con le dinamiche mutevoli del comportamento umano. Come, del resto, si è visto di recente con la mancata previsione della crisi economica globale.
Ma cosa ne pensano gli psicologi? Lo abbiamo chiesto a Eric Johnson, condirettore del Centro di Ricerca sulle decisioni della Columbia University di New York e a Ilana Ritov, docente di Educazione e Psicologia alla Hebrew University of Jerusalem e collega del premio Nobel per l’Economia Daniel Kahneman (a cui il nostro ateneo ha conferito la laurea honoris causa nel 2002).
 
Nelle decisioni pesa di più l’emotività o la razionalità? 
Ritov: La risposta non è facile. Certamente negli ultimi vent’anni anni le scienze cognitive hanno orientato il proprio interesse verso il modo in cui la gente pensa. Questo - si è scoperto - sta alla base di come vengono prese le decisioni. Ecco perché le emozioni stanno diventando sempre più importanti come oggetto di studio da parte dei ricercatori. Molti degli esempi vengono proprio dalla quotidianità delle nostre scelte. Si è notato, ad esempio, che le persone che aderiscono spontaneamente alle cause caritatevoli, come le raccolte di fondi, sono mosse più dall’emotività che dalla razionalità. Se una persona vede un'altra in uno stato di bisogno si sente portata ad aiutare, e questa prossimità, più ancora che l’accettazione razionale della bontà della cosa, aumenta la disponibilità ad interessarsi concretamente ai problemi di tutta la categoria che questo individuo rappresenta, siano essi bambini in difficoltà, malati o persone indigenti.
Johnson: Il risultato più importante che abbiamo ottenuto negli ultimi trent’anni – da quando le scienze cognitive hanno iniziato ad occuparsi di nudge – è proprio la scoperta che la presa di decisione non dipende soltanto dalla nostra razionalità, ma anche dall’ambiente circostante, dal contesto in cui ci troviamo e, soprattutto, da come ci vengono presentate le varie opzioni. Il nudge è proprio quel modo di presentare la situazione che spinge le persone, senza forzarle, ad adottare comportamenti virtuosi.
Ma come si realizzano concretamente questi nudge? E in che settori possono essere applicate queste tecniche? Ci può fare qualche esempio?
Johnson: Una delle tecniche di nudge più potenti e conosciute è quella denominata “default option”, vale a dire quel tipo di opzione che il decisore sceglie semplicemente non facendo nulla. Sono esempi in questo senso, alcune delle politiche attuate negli Stati Uniti per contrastare, sul piano finanziario, la bassa propensione al risparmio in vista della pensione che caratterizza i cittadini americani. Il piano attuato dal Governo è stato quello di attivare automaticamente per tutti un sistema di accantonamento obbligatorio, dal quale però si può sempre recedere. Pochi tuttavia sono stati i cittadini che hanno deciso di non aderire. Lo stesso tipo di strategia ha dimostrato la sua utilità anche come strumento per incentivare la donazione degli organi. Nei Paesi dove la donazione è per legge prevista di default, si nota che vengono salvate molte più vite.
Ritov: Anche nel campo della tutela dell’ambiente si può fare molto con queste tecniche. La strategia di default applicata nelle scelte dei cittadini dal governo tedesco ha permesso alla Germania di attuare un grande passo avanti nella riconversione delle risorse energetiche dai combustibili fossili alle fonti pulite e rinnovabili. Ben il 99% dei cittadini hanno infatti aderito. E senza alcuna forzatura.
Esiste qualche altra tecnica che si è rivelata utile?
Ritov: Oltre alla default option c’è un’altra tecnica molto efficace: quella di rendere consapevoli i cittadini che se permane lo status quo le cose non cambiano. Anzi possono peggiorare. Questo aiuta a far accettare ai cittadini quelle norme, magari anche fastidiose, che però sono utili alla collettività in molti settori, dalla salute, all’ambiente, alla convivenza civile”.
Questi spunti sono sicuramente interessanti anche per quanto riguarda la presa di decisioni in ambito pubblico. Esistono già amministrazioni “illuminate” che hanno adottato queste tecniche per sensibilizzare i cittadini a comportamenti virtuosi?
Ritov: “L’interesse dell’amministrazione pubblica verso queste tecniche è sicuramente crescente. Basti pensare all’impatto molto forte che gli studi di Kahneman stanno avendo sulle politiche di molti governi. In Israele stiamo lavorando concretamente per portare alla luce il contributo che le scienze cognitive e la psicologia possono apportare nelle decisioni pubbliche. Un progetto che ha ricevuto l’appoggio e importanti finanziamenti da parte del governo”.
 
 

Alessandra Saletti è responsabile dell'Ufficio Stampa dell'Università di Trento.