Conversazione con Jack Katz e Jeff Ferrell, di Cristiano Zanetti

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Jack Katz è professore di Sociologia presso la University of California at Los Angeles (UCLA). Jeff Ferrell é professore di Sociologia presso la Texas Christian University (USA) e Visiting Professor of Criminology all’Università del Kent (UK). A Trento hanno partecipato alla International Summer School in Urban Ethnography.

Professor KatzProfessor Katz, lei sta per pubblicare un libro sulla storia dei quartieri della città di Hollywood. Secondo lei quali sono le differenze e cosa c’è in comune nel passato e nel presente di questi quartieri e cosa li differenzia da altri quartieri di altre città che hanno la stessa dimensione?
Hollywood è una zona che nel tempo si è molto diversificata. Fino agli anni ’70 era una zona molto omogenea, gli abitanti erano tutti bianchi e quasi tutti appartenevano alla classe media. In seguito si differenziò con l’arrivo di molti immigranti provenienti da altre parti del globo. Si sviluppò una zona dove si concentrò la maggior parte degli abitanti. Gli abitanti delle colline si organizzarono e si interessarono maggiormente alla loro sicurezza. Molte delle idee che spiegano i cambiamenti che avvengono all’interno delle città non funzionano se applicate ad Hollywood.
Uno dei processi che si verificò fu quello della de-globalizzazione. Quindi non la globalizzazione, bensì il suo opposto. Fra il 1930 e il 1965 circa le forze globali quali la grande Depressione e la seconda Guerra Mondiale dettero potere ai centri di autorità. Dal 1965 questo potere centralizzato cominciò a svanire. Penso che questo riguardi sia la storia americana, ma anche quella dell’Europa occidentale. La ragione per cui la popolazione crebbe fu che la polizia non fu più in grado di spedire le persone, essenzialmente, in campi di concentramento. E la ragione per cui i quartieri storici sulle colline e le comunità religiose emersero è che il Governo non poté più emettere ordinanze nelle città perché le persone si opponevano. La polizia cittadina, il governo statale, l’Autorità Nazionale per l’Immigrazione persero in parte il loro potere e si crearono molte forze che nessuno, in posizioni di controllo ufficiali, poteva prevedere. Fra il 1930 e il 1970 si cominciò a costruire fuori dalla città dove il valore della terra non era elevato. Si creò una nuova classe sociale speciale, con il desiderio di vivere non in centro, ma nelle sue vicinanze. Ora il 50% va e il 50% viene, un cambiamento che ha un drammatico impatto sulla città. Le persone che si stabilirono in città vollero proteggersi con riferimento a simboli di identità comune e crearono così quartieri storici sulle colline per proteggersi perché il Governo non lo faceva.
Tutto ciò è applicabile a molte città dell’Europa occidentale. Infatti, per quel che ho visto negli archivi degli anni ’60 (quindi circa venti anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale) delle ordinanze in Svezia, Francia o altri Stati che promuovevano il trasporto pubblico e scoraggiavano l’uso delle automobili, vennero creati sobborghi e il valore della terra crebbe, per cui le persone erano motivate a ricercare vie più economiche per avvicinarsi alla città. Una delle ragioni per cui Hollywood è un così bel luogo è che ha una storia vecchia di circa 140 anni, si possono perciò vedere tutti gli stadi del suo cambiamento nel tempo.

Fra i suoi libri ce n’è uno intitolato “La seduzione del crimine”. Come si configura la seduzione del crimine oggi? E qual è la relazione fra crimine e comunità?
Le attrazioni morali verso il crimine sono assimilabili a una forma di difesa. Una sorta di orgoglio auto-cosciente dell’essere criminale motiva molte delle forme di crimine. Credo che tutto ciò sia diminuito. Questo risultato deriva dal cambiamento dell’organizzazione della povertà negli Stati Uniti. La credenza che la criminalità sia collegata con i gruppi etnici è stata un errore che si è protratto per 150 anni e riguardava tutte le etnie europee. In seguito ha riguardato i latini, i portoricani, i messicani e i neri. La prima generazione  di questi gruppi tende a non essere così criminale come la seconda. Ma quando parte di queste popolazioni si spostarono, alcuni dei loro componenti si trovarono in posizione doppiamente sfavorevole, perché non solo erano poveri ma anche soli. La domanda prende spunto da queste situazioni. Ciò che successe negli anni ’60, ’70 e ’80 fu che le uniche persone povere che arrivavano nelle città erano neri provenienti dal sud, portoricani e in alcuni casi messicani dalla costa sud-occidentale. Questo fenomeno si sviluppò, paradossalmente, quando questi gruppi cominciarono ad avere successo, ma una piccola percentuale lasciata indietro si trovò in una condizione sfavorevole. E la criminalità è diminuita non perché ci sia qualcosa che la polizia ha fatto, ma perché l’organizzazione della povertà è cambiata. Per questo penso che la storia del declino della criminalità è la storia del declino delle seduzioni del crimine dovute al cambiamento della povertà negli Stati Uniti.

Quali sono le competenze che i giovani studiosi dovrebbero sviluppare secondo lei per poter capire il mondo sociale di oggi e quali suggerimenti potrebbero arrivare dall’etnografia urbana?
In particolare per l’etnografia urbana gli studenti dovrebbero conoscere molto bene le persone che vivono in una determinata zona, le soluzioni pratiche che si prospettano loro e poi guardare a cosa i professori hanno insegnato loro e confrontare tali idee con la realtà certificandone il livello di verità. Cercare prima di avere una conoscenza dalla prospettiva delle persone che stanno studiando, la loro sociologia popolare, le parole che usano per vivere. Dimenticare per un momento ciò che hanno studiato per chiedersi poi se le idee che hanno imparato dagli studi accademici sono utili a vedere ciò che le persone stesse non sanno vedere. Devono farsi coinvolgere per capire le dinamiche sociali.

Professor FerrellProfessor Ferrell, lei ha dedicato molte ricerche al fenomeno dei graffiti. Qual è il significato più profondo della presenza dei graffiti nelle nostre città? È da considerare arte, protesta o un modo per rivendicare la democrazia?
Negli anni ’70 è emersa una nuova forma di graffiti, dapprima nelle città di New York City e Philadelphia, negli Stati Uniti era in parte associata alla nascita della cultura hip hop e questa forma è diventata un fenomeno globale anche in Europa, Asia, Sud America, dove ci sono forme locali (e qui a Trento è molto bello questo nuovo re-style artistico dei graffiti). C’è una sorta di conversazione privata in pubblico. Se guardiamo sui muri, i graffiti non si riferiscono solo a me e a voi, i muri sono usati da una sotto-cultura. Quando cammino per le strade di Trento vedo che lo stile è precisamente lo stesso delle strade di New York, San Paolo, Berlino, San Francisco. Attraverso la tecnologia il codice stilistico si è globalizzato, le immagini vanno avanti e indietro nel web, qualcuno a New York può vedere i graffiti di Trento, perciò sui muri delle città di tutto il mondo va in scena un gioco di stile globalizzato.

Le modalità urbane alternative di vivere possono aiutarci a ripensare il nostro tradizionale stile di vita?
Negli ultimi decenni alcuni gruppi sono fortemente marginalizzati e stanno confermando la crisi dovuta al consumo eccessivo, al crollo dell’ecologia, al surriscaldamento globale e così via. Vediamo diverse subculture che condividono questo nesso: vivere della spazzatura e vivere esclusivamente di ciò che è stato buttato. Alcuni lo fanno per scelta per risolvere le dinamiche capitalistiche e non distruggere maggiormente il pianeta. Ci sono giovani che adottano uno stile di vita che non abbia impatto ambientale e credo che stia aumentando il numero di queste persone che potremmo definire la generazione dei “do it yourself”, che cerca di superare i problemi causati dal capitalismo e dall’eccesso di consumo.

Quali crede siano le competenze che i giovani studiosi dovrebbero sviluppare per comprendere il mondo sociale di oggi e quali suggerimenti arrivano dall’etnografia urbana?
Sono importanti due concetti. Il primo è non lasciar passare l’idea che le immagini siano in qualche modo separate da ciò che chiamiamo realtà o socio-realtà. Viviamo in un mondo in cui anche i bambini a volte hanno accesso alla tecnologia visuale, tramite i siti web. Abbiamo un mondo in cui le immagini e i media hanno una natura fondamentale. Le immagini e la tecnologia riproduttiva fanno parte della nostra vita, non sono qualcosa da cui siamo separati. Il secondo concetto è che più che nell’avere competenze pratiche, una gran parte dell’essere un etnografo nel nostro secolo sta nell’essere attento in dettaglio e con modestia ai significati che gli altri sviluppano. Quello che in definitiva ho notato è che l’etnografia non consiste in un metodo, bensì un modo di vivere.

AUTORE:
Cristiano Zanetti lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi e fa parte della redazione del periodico Unitn.