Il saluto della Città di Trento

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Il saluto del sindaco di Trento, Alessandro Andreatta, alla cerimonia per festeggiare Lev Pitaevskii

Gentile e caro professore,

la cerimonia di oggi custodisce in sé un elemento di gioia e di solennità. Di gioia perché si tratta di una festa che i suoi amici, i suoi estimatori, i suoi colleghi hanno voluto dedicare a lei, alla sua relazione con l'Università di Trento e, non da ultimo, alla sua bellissima età. Di solennità perché certe ricorrenze – soprattutto se coinvolgono le istituzioni – hanno bisogno di un rituale che ne sottolinea e ne amplifica i significati.

La mia presenza, cioè la presenza della città di Trento, vuol dire molte cose. Vuole testimoniare prima di tutto la vicinanza e l'affetto nei confronti non tanto di un ospite, ma di un concittadino, cioè di una persona per la quale Trento è stata il luogo di una scelta; di una persona che ha fatto di Trento il centro della propria vita ed ha ritenuto di potervi costruire qualcosa di importante.

Non nascondo, poi, che la sua vicenda umana e scientifica ha in sé, per noi, qualcosa di intrigante. Non mi riferisco solo alla sua statura di ricercatore, per la quale non ho categorie adeguate per esprimere alcunché e, dunque, accolgo in maniera direi incondizionata la grande ed unanime considerazione nei suoi confronti da parte della comunità scientifica. Penso soprattutto, se me lo consente, a quanto la sua provenienza e la sua età possano riassumere in qualche modo il travaglio di un secolo e le sue attese, ed in qualche modo coronare le sue speranze. Penso, ancora, all'urgenza di una ricerca scientifica che, da una parte, sposti continuamente in avanti la frontiera dell'innovazione e della tecnologia e, dall'altra, non smetta mai di interrogarsi sulle questioni cruciali che riguardano il nostro bisogno di significati. Cogliere ed esprimere in sintesi queste connotazioni significa, se mi posso permettere una garbata accentuazione, essere entrati davvero nella storia di una disciplina.

In questo contesto, credo tuttavia che sia lecito, se non doveroso, proporre anche una considerazione ulteriore. La sua pluriennale, collaudata frequentazione della nostra università è infatti, a modo suo, anche la metafora di un'intenzione: l'intenzione – dell'Università, della città, del nostro territorio – di conquistare una proiezione internazionale. Questo vuol dire soprattutto due cose: vuol dire essere consapevoli che, al di là delle nostre montagne, c'è il resto del mondo, evitando il pericolo di un inutile autocompiacimento e di una chiusura localistica in difesa di certezze illusorie e di rassicurazioni apparenti; e vuol dire accettare il confronto, o meglio la sfida, nel mare aperto di un modello di sviluppo che mette al centro la formazione, la ricerca e, in una parola, la conoscenza.

Per tutte queste ragioni sono perciò lieto, caro professore e caro amico, di condividere questo momento e per rinnovarle una parola di stima e di gratitudine a nome dell'intera città.