no27

 convegni 
Il Social Capital nella lente dei sociologi
Primo passo per la costituzione di una solida rete di contatti
di Paolo Barbieri

Gli scorsi 19 e 20 ottobre si è tenuto, organizzato a Sociologia dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, un workshop internazionale sul tema del Capitale Sociale (materiali e paper disponibili sul sito web del dipartimento www.soc.unitn.it/dsrs/ alla voce convegni). Il Capitale Sociale è un tema che da tempo sta destando l'attenzione ed il dibattito dei sociologi: reti relazionali attivate, sistemi di fiducia interpersonale, possibile ruolo dei sistemi istituzionali nel proporlo e diffonderlo, possibile fattore di sviluppo in aree economicamente disagiate e/o marginali.
Tutti noi conosciamo bene l'esempio della Grameen Bank, l'istituzione di microcredito nata in una delle regioni più povere del continente indiano e rapidamente diffusasi in mezzo mondo, dall'Africa agli stessi Stati Uniti, ove i marginali e gli esclusi sono in numero sempre crescente, nonostante le luci ed i luccichii di Wall Street e delle "new economy". La Grameen Bank funziona proprio attraverso il Capitale Sociale di rete dei soggetti (poveri). O meglio: dovremmo dire che funziona soprattutto sul capitale di rete delle donne (chissà come mai più affidabili degli uomini, a parità di condizioni di povertà - praticamente assoluta) le quali vengono "finanziate" - per importi di pochi dollari - ed aiutate a "mettersi in proprio" attraverso la realizzazione di piccoli commerci e/o attività in grado comunque di farle uscire dall'abbruttimento totale della miseria nera e soprattutto dalla disperazione. Ma, direte voi, che c'azzecca tutto questo con il capitale sociale? C'azzecca, perché le nostre donne indiane (africane, afro-americane, latino-americane, indie…) oltre che essere "finanziate" sono anche coinvolte in un circuito di microrelazioni di gruppo, cioè in una rete, che da un lato le fa sentire meno isolate, meno disperse, dall'altro fornisce loro risorse, sostegno, approvazione (o riprovazione, se del caso) e apprezzamento personale, il che poi è alla base dell'autostima. Funzionalista come approccio? Forse, perché no? Ma ciò che è più importante è che … funziona. Funziona, perché reti, gruppo sociale, approvazione, controllo, risorse collettive "messe in circolo" costituiscono appunto "capitale sociale" utilizzato e speso dai soggetti per realizzare un loro fine personale, il che, nel caso delle donne indiane, è "tirar fuori" se stesse e i propri figli dall'abbruttimento causato dalla miseria nera in cui vivono. L'esempio della Grameen Bank è forse estremo (ma moltissime iniziative sono in corso anche nella nostra "bella e luccicante" Europa, il che vuol dire che anche da noi qualcosa forse non funziona proprio a dovere) ma ad ogni modo l'idea che il Capitale Sociale possa rappresentare per molti una risorsa "spendibile" cioè qualcosa da cui il singolo possa trarre un "valore" che il più delle volte è un valore d'uso più che di scambio, è un'intuizione che da relativamente poco tempo i sociologi stanno sviluppando (e gli economisti li rincorrono…). Da questo punto di vista il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale di Trento è il posto "per eccellenza" che in Italia si è occupato di Capitale Sociale, e non da poco tempo. Il workshop ha costituito quindi un momento alto di riflessione teorica e di discussione su dati di buona ricerca empirica (dal capitale sociale degli autonomi, al capitale sociale in Cambogia, al ruolo delle reti personali nei processi di privatizzazione economica) che ha visto coinvolti studiosi italiani e stranieri (il professor Nan Lin, della Duke University, colui che forse oggi rappresenta una delle massime autorità in fatto di studio e riflessione sul Capitale Sociale; il professor Lemel, dell'Insee francese; oltre a molti altri docenti e ricercatori italiani: non ne citiamo nessuno per non far torti) e che ha rappresentato il primo passo per la costituzione di una solida rete di contatti da cui noi tutti ci auguriamo che possa nascere un ricco… "capitale sociale".

Nella foto, da sinistra: Nan Lin, Mario Diani, Fortunata Piselli, Davide La Valle al Workshop on Social Capital