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Il punto sulla ricerca delle onde gravitazionali
Il gruppo di ricerca dell’ateneo riunisce a Trento studiosi internazionali nel sesto convegno GWDAW
di Giovanni Andrea Prodi

La ricerca delle onde gravitazionali ha in questi anni suscitato un crescente interesse nel campo della fisica di base e dell’astrofisica, e si stanno oggi concretizzando progetti di ricerca di grandi dimensioni sia sotto il profilo delle risorse umane impiegate che degli investimenti in atto. Il nostro gruppo ha attivamente partecipato a questa attività di ricerca, contribuendo inoltre allo sviluppo di alcune importanti collaborazioni internazionali. In questo quadro, abbiamo organizzato a Trento lo scorso dicembre la sesta conferenza internazionale annuale che raccoglie la comunità scientifica coinvolta nella ricerca delle onde gravitazionali sotto l’aspetto dell’analisi dei dati, ovvero della estrazione dei risultati osservativi. L’edizione trentina della conferenza, Gravitational Wave Data Analysis Workshop (GWDAW), si è sviluppata per tre intense giornate presso il Centro Congressi Panorama di Sardagna con la partecipazione di 112 ricercatori e la presentazione di 33 relazioni.
La ricezione di onde gravitazionali sarebbe un evento di portata storica. Fino ad oggi infatti abbiamo osservato l’universo principalmente  attraverso la radiazione elettromagnetica, inizialmente con la luce visibile poi estendendo la banda a bassa frequenza fino alle onde radio, e ad alta frequenza fino ai raggi gamma. Le onde elettromagnetiche ci forniscono informazioni principalmente la dinamica delle cariche elettriche della materia che compone l’universo. Altre finestre osservative sono state aperte dalla ricezione delle particelle elementari di origine cosmica, fra cui i neutrini. Queste possono portare informazioni più profonde sulla composizione dell’universo (materia, antimateria, materia oscura) e sulle reazioni nucleari che avvengono nel cuore delle stelle. Le onde gravitazionali aprirebbero una finestra osservativa nuova e complementare: essendo generate dalla dinamica delle masse, portano informazioni dirette sull’evoluzione dei fenomeni cosmici in cui la gravità gioca un ruolo dominante. Ad esempio, sono l’unico mezzo con cui si possano osservare direttamente i buchi neri o la dinamica di eventi astrofisici come il collasso di una stella. In aggiunta, poiché viaggiano praticamente indisturbate attraverso la materia, possono portare informazioni dalle parti più profonde e altrimenti nascoste dell’universo. Per rendere l’idea del perché i fisici stiano oggi così attivamente cercando le onde gravitazionali, si potrebbe paragonare l’introduzione del telescopio di Galileo ad un paio di occhiali necessari ad una persona miope per guardarsi meglio intorno, mentre una antenna per onde gravitazionali sufficientemente sensibile sarebbe equivalente a dare per la prima volta l’udito ad una persona completamente sorda.
 Sebbene l’esistenza delle onde gravitazionali sia stata già dimostrata da osservazioni di sistemi stellari (Hulse e Taylor, premi Nobel per la Fisica 1994), non sono ancora mai state rivelate direttamente, proprio perchè i loro effetti sulla materia che attraversano sono debolissimi. Possiamo immaginarle come onde che si propagano alla velocità della luce deformando la curvatura dello spazio e variando la velocità di scorrimento del tempo. Le deformazioni dello spazio indotte dal loro passaggio sono piccolissime anche per le onde più intense, generate da fenomeni astrofisici “apocalittici” in cui la potenza irraggiata in un flash di onde gravitazionali può superare di 1022 volte (diecimila miliardi di miliardi) l’intensità di luce emessa dal sole. Negli ultimi anni, le antenne per onde gravitazionali hanno escluso l’arrivo di onde gravitazionali sulla terra fino ad ampiezze di deformazione dello spazio pari a una parte una parte su 10-18, cioè di un miliardesimo di miliardesimo. Da questi fatti si può comprendere quanto sia importante per questa ricerca lo studio dei metodi di analisi dei dati, argomento della Conferenza GWDAW, particolarmente per l’estrazione dei possibili segnali dal rumore e per il funzionamento simultaneo coordinato di molti rivelatori. 
Le antenne per onde gravitazionali funzionano misurando o le deformazioni elastiche di grandi masse o le variazioni di distanza relativa fra masse distanti. Nel primo caso l’onda mette in vibrazione la massa, una vibrazione che si sovrappone a quelle già presenti intrinsecamente, come ad esempio l’agitazione termica casuale. I rivelatori di questo tipo sono detti acustici e cinque di questi hanno operato congiuntamente dal 1997 in una ricerca in cui la produzione dei risultati osservativi è coordinata dal nostro gruppo. Il rivelatore AURIGA (nella foto sotto) che abbiamo realizzato e che partecipa a questa campagna osservativi,. È sensibile a fluttuazioni di lunghezza della barra cilindrica fino ad un miliardesimo della dimensione di uno degli atomi che la compone. Nel secondo tipo di rivelatore, la fluttuazione della distanza fra masse libere è misurata con un interferometro laser. I rivelatori interferometrici più grandi sono in fase di completamento ed hanno bracci lunghi 3-4 Km: il VIRGO presso Cascina (Pisa), e i due LIGO negli USA. L’unico prototipo di interferometro entrato in funzione con regolarità e buona sensibilità nel 2001 è quello giapponese, TAMA, con bracci di 300 m. Tutti questi rivelatori, basati a terra, ricercano onde gravitazionali nella banda di frequenza audio, come quelle che possono essere emesse da sorgenti stellari compatte. Per osservare onde gravitazionali a più bassa frequenza, come quelle prodotte da buchi neri giganti nei nuclei galattici, è in via di sperimentazione un progetto per la realizzazione di un interferometro in orbita eliocentrica, LISA, costituito da una costellazione di tre satelliti distanti tra loro 5 milioni di Km. Anche in questo progetto è fortemente impegnato il nostro gruppo di ricerca, con compiti di coordinamento dell’attività europea.
L’edizione trentina della conferenza GWDAW, il cui comitato scientifico è stato presieduto da Stefano Vitale dell’Università di Trento, ha messo in luce alcune importanti novità nel campo. Anzitutto sono state presentate per la prima volta le soddisfacenti prestazioni osservative raggiunte dall’antenna interferometrica giapponese, i risultati di quattro anni di osservazioni coordinate fra i cinque rivelatori acustici ed i progressi nello sviluppo del progetto di interferometro in orbita. Le osservazioni congiunte dei rivelatori hanno migliorato i limiti superiori alle ampiezze delle onde gravitazionali che raggiungono la terra. Oltre a questi risultati, sono stati discussi i progressi nei realizzazione dei rivelatori interferometrici, nella definizione di modelli sempre più accurati dei segnali di onde gravitazionali emessi e sui metodi di osservazione congiunta a molti rivelatori, necessaria per raggiungere una confidenza statistica significativa delle osservazioni astrofisiche. 
Colgo l’occasione per ringraziare quanti hanno contribuito al successo dell’organizzazione della conferenza, in particolare il collega Lucio Baggio, e Paola Bodio, Ornella Mutinelli ed Elisabetta Nones dell’ufficio convegni dell’Università.

Nella foto: Kip Thorne con Stefano Vitale e rappresentanti dell’Agenzia Spaziale Europea e della NASA in visita al laboratorio di basse temperature del Dipartimento di Fisica.

 


Kip Thorne a Trento
In concomitanza con il convegno GWDAW 2001, ha avuto luogo a Trento nei giorni 11 e 12 dicembre il secondo meeting ufficiale del Lisa International Science Team: un gruppo di 20 ricercatori nominati dalle agenzie spaziali americana ed europea, di cui fa parte anche il professor Stefano Vitale dell’Università di Trento. L’ateneo trentino ha ospitato il team dopo il Jet Propulsion Laboratory della NASA e il California Technology Institute, che hanno inaugurato la prima riunione a Pasadena in California. Ospite illustre dell’incontro è stato il professor Kip Thorne, fisico statunitense del California Institute of Technology e uno tra gli scienziati più noti al mondo nell’ambito dello studio della teoria della relatività, dei buchi neri e dei cosiddetti “wormholes”: i vortici che collegano punti distanti nell’universo e che consentirebbero di effettuare salti nello spazio e nel tempo. I suoi studi sull’affascinante prospettiva di viaggiare attraverso luoghi ed epoche diverse, sfruttando questi “tunnel cosmici”, lo hanno reso famoso anche al grande pubblico, soprattutto negli Stati Uniti. Kip Thorne ha infatti collaborato più volte con il mondo del cinema per la realizzazione di film di fantascienza di successo ed è autore con Stephen Hawkings del libro Black Holes and Time Warps che è stato un best-seller negli USA.