Psicologia e percezione del rischio
Paul Slovic al Laboratorio di Scienze Cognitive di Rovereto
Intervista di Francesca Menna a Paul Slovic
Alla fine dello scorso mese di marzo al Laboratorio
di Scienze Cognitive di Rovereto lo psicologo americano Paul Slovic, fondatore e presidente
dell’Istituto di ricerca Decision Research, vincitore di numerosi premi internazionali, ha tenuto due seminari
sulla percezione del rischio. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Professor Slovic, qual è la sua area di studio e dove lavora attualmente?
Sono docente di psicologia all’Università dell’Oregon e presidente di Decision Research, un
istituto privato di ricerca che si trova a Eugene, in Oregon. Mi occupo di aree quali lo studio della
percezione del rischio da parte dell’uomo e dei relativi processi decisionali, di situazioni di rischio,
di valutazione, di individuazione e di comunicazione del rischio.
Perché è importante lo studio del rischio da un punto di vista psicologico?
Il rischio, il cui studio ha con grande probabilità avuto origine in Italia molto tempo fa, è
senza dubbio un tema molto importante. Abbiamo creato il concetto di rischio per aiutarci a pensare ai pericoli
della vita, a controllarli e a prendere decisioni. Il rischio viene studiato da diversi tipi di scienziati:
ingegneri, tossicologi, fisici, matematici, epidemiologi, economisti, geologi… Molti studiosi
si sono occupati di rischio perché il rischio è ovunque ed è quindi importante imparare a conoscerlo
da diversi punti di vista.
Tutte queste scienze però creano informazione sul rischio ma non utilizzano direttamente quell’informazione:
gli scienziati non prendono decisioni. Spetta a qualcun altro educare le
persone a vivere in maniera sicura.
Io mi occupo proprio di quest’aspetto, ossia dell’analisi di come le persone pensano e rispondono
al rischio. Insieme ad altri colleghi ho sviluppato dei metodi per descrivere la percezione del rischio
e per misurarne l’impatto sulle persone e sulla società. Talvolta ho studiato
anche scienziati, cercando di analizzare come questi valutano il rischio
e prendono decisioni e come poi utilizzano tali decisioni. Mi sono occupato anche
dei comportamenti dei governi, per vedere come affrontano il rischio e come si comportano in situazioni di rischio.
Quindi lo studio del rischio dal punto di vista psicologico si può applicare a molti
campi della vita di tutti i giorni?
Certamente, si può applicare a tutte le situazioni di rischio negli ambiti più diversi,
dalle moderne tecnologie, al nucleare, alle biotecnologie e anche all’ambito della pubblicità e del marketing, delle
scienze naturali, di investimenti e finanze…
La gente comune ha la stessa percezione del rischio degli scienziati?
Spesso le persone comuni e gli scienziati non sono concordi sul rischio. Ma
è lecito domandarsi se sia sempre giusto quello che dice lo scienziato o se ci
sia anche qualcosa di giusto in ciò che sostiene la gente comune. È vero,
tuttavia, che molte volte la gente compie degli errori e spesso non ha tante conoscenze
sugli effetti quante ne hanno gli scienziati. La principale differenza, comunque, sta nel fatto
che la gente comune non si occupa soltanto degli effetti e dei risultati, ma si domanda anche se una
situazione o una decisione sia volontaria o involontaria: è diverso, infatti, se la decisione di fare
qualcosa che potrebbe essere pericoloso è presa liberamente o è imposta. È differente
per la gente sapere di avere scelto di essere esposti a un rischio oppure sapere di essere forzati a esservi esposti.
Se si è costretti a fare qualcosa si pensa che la cosa vada al di là del proprio controllo, perché qualcuno
la sta imponendo, è un giudizio di valore.
Gli scienziati possono darci informazioni sul rischio, ma non possono prendere decisioni sui valori.
Il rischio non è soltanto una materia scientifica, ma coinvolge valori. E i valori della gente comune
sono anch’essi parte del rischio.
Le persone possono imparare a valutare il rischio? È una cosa che si può insegnare?
Le persone hanno conosciuto il rischio in due modi: il primo è quello che chiamiamo “apprendimento
attraverso l’esperienza” e che rappresenta la principale via di apprendimento per
l’uomo (così come le persone imparano ad andare in bicicletta in maniera
sicura). È l’esperienza che insegna ogni giorno ed è in questo modo che l’uomo
ha imparato a sopravvivere: nel corso degli anni c’è stato un processo
evolutivo in cui la gente ha deciso con il tempo che cosa era sicuro e che cosa non
lo era. Questo non viene fatto attraverso la scienza, bensì, appunto, con l’esperienza, attraverso i sentimenti, le
immagini e le emozioni.
Ma nel mondo moderno noi abbiamo creato molti pericoli, i cui effetti possono essere anche diluiti
nel tempo (ad esempio gli effetti delle radiazioni, le piccole quantità di
sostanze chimiche che possono avere effetti cancerogeni che si manifestano
anche a distanza di molti anni…). Da questo tipo di pericoli non si può
imparare a difendersi attraverso l’esperienza. L’unico modo per studiare gli
effetti di tali pericoli è utilizzare la scienza. Quindi gli scienziati possono
insegnare qualcosa, comunicando alle persone quello che hanno scoperto; su tali basi poi le persone devono decidere che
cosa significa questo per loro, per la loro famiglia e per la comunità.
Prendiamo ad esempio fenomeni come le radiazioni o i cibi bio-tech: non siamo cresciuti in un
mondo che ci aiuta a capire la biotecnologia, quindi dobbiamo vedere quanto le persone possano imparare
in proposito dalla scienza e come questo poi influenzi i loro atteggiamenti.
Come è entrato in contatto con il Laboratorio di Scienze Cognitive di Rovereto?
Il rapporto è iniziato attraverso la collaborazione con il professor Rino Rumiati e la dottoressa Lucia
Savadori. Li avevo incontrati diversi anni fa e mi avevano invitato a Padova per tenere alcuni seminari.
Più recentemente il professor Rumiati mi ha parlato di questo Laboratorio e mi ha invitato a tenere
alcuni seminari anche a Rovereto.
È stata un’esperienza molto bella perché, oltre ad avere tenuto i seminari, ho incontrato molte persone.
Ho lavorato insieme a Rumiati e Savadori su alcuni progetti di ricerca. Inoltre ho incontrato e
discusso idee di ricerca con diversi studenti.
I suoi progetti per il futuro per quanto riguarda i rapporti con Rovereto?
Spero che questo rapporto di collaborazione continuerà. Sono rimasto molto colpito dalla struttura,
dai ricercatori e da tutto lo staff che ho incontrato. Quindi posso dire di essere molto contento della
visita e spero che ci saranno in futuro nuove opportunità di collaborazione con il Laboratorio di
Scienze Cognitive.
Intervista in lingua originale inglese
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