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  in libreria  

Cultura e vita nella lezione di Cesare Cases
Il volume Saggi e note di letteratura tedesca ripubblicato nella collana “Reperti” del Dipartimento di Scienze filologiche e storiche
di Fabrizio Cambi

Potrebbe ormai apparire anacronistico parlare del libro nella sua entità e identità cartacea quando sempre più spesso lo leggiamo o consultiamo nella sua versione informatizzata dopo essere stato prelevato dai depositi delle biblioteche e compresso nel piatto scrigno di un CDrom, o riversato in un sito bibliografico. In realtà, stando ai bollettini emessi nelle fiere librarie e ai periodici di recensioni, il libro nella sua veste tradizionale, più o meno ricca e accattivante, non sembra soffrire di uno stato di salute peggiore che in passato. D’altra parte non esiste un testo informatizzato che, per quanto stampato e rilegato, possa sostituire il libro, quell’oggetto e soggetto al tempo stesso nel dialogo col lettore, vivo nella sua fisica talora ingombrante presenza, “un giardino, secondo un proverbio arabo, che si può portare in tasca”. E non muta d’altronde il suo destino, come spesso quello dell’autore e in certi casi anche dell’editore, che è imprevedibile perché legato alla tiratura, ai canali della distribuzione, alla cassa di risonanza di una ricezione variamente orchestrata e pilotata dagli organi di informazione. Fatto sta che molti libri, che potrebbero farsi leggere nel tempo ancora da molti e continuare ermeneuticamente a crescere, si esauriscono, conservandosi fortunatamente negli scaffali delle biblioteche che ne assicurano la sopravvivenza e la costante disponibilità. È difficile stabilire in che misura la riedizione di un’opera, letteraria o scientifica che sia, e quindi la sua maggiore diffusione incida sugli orientamenti e sugli indirizzi culturali o come la sua repentina dipartita dal mercato determini un vuoto non più colmabile. La risposta “esaurito” da parte del libraio alla nostra richiesta di un testo o il leggerlo in un catalogo suonano un po’ come una denuncia di morte del libro la cui tiratura magari non era stata prevista, spesso per ragioni prudenziali, in modo adeguato all’interesse che avrebbe suscitato nei lettori o la ristampa considerata non opportuna dall’editore.
Con questa consapevolezza la collana editoriale “Reperti” del Dipartimento di Scienze filologiche e storiche da anni si propone di riportare alla luce opere di notevole rilevanza scientifica e culturale ristampandole in anastatica e corredandole di un agile apparato di ricontestualizzazione storica e letteraria. Come rigattieri che senza spendere troppo recuperano qua e là oggetti di valore, i componenti la redazione della collana raccolgono testi ormai dispersi o di difficile reperimento, richiedendo, se necessario, i diritti di stampa alle case editrici di solito disposti a cederli. Ricordo ad esempio la ripubblicazione della prima edizione (1791) e di quella postuma (1802) delle Odi di Giuseppe Parini, della prima monografia italiana di Ardengo Soffici su Arthur Rimbaud, pubblicata nel 1911 nei “Quaderni della Voce”.
Di recente, grazie a una liberatoria della casa editrice Einaudi, che si è dichiarata lieta di concederla, è stato riproposto il volume di Saggi e note di letteratura tedesca di Cesare Cases, da tempo irreperibile, che raccoglie scritti composti fra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. La particolarità di questo “reperto” è che l’autore, fra quelli inseriti nel catalogo, è il solo ad essere ancora fra noi, potendo così contribuire con un’incisiva intervista alla sua attualizzante rigenerazione. “Questo - scrive l’intervistatrice Anna Chiarloni - è un libro che regge nel tempo proprio perché Cesare Cases ha la capacità, senza dilungarsi in preamboli dottrinali, di arrivare a un orizzonte di senso”. Il lettore apprende così che la scelta del titolo della raccolta di saggi fu stabilita, appellandosi al De Sanctis, da Calvino con il consenso di Giulio Bollati, ma soprattutto può confrontarsi in “una sorta di riflessione binaria” con le grandi direttrici ideologiche del pensiero critico degli anni Sessanta, da tempo soggette a un processo di rimozione, e con il presente osservato dalla “schiena del tempo”. In un clima di stagnazione ideologica e di crisi di una considerazione storicistica della realtà il “reperto” di Cases si riafferma oggi in tutta la sua vitalità dialettica animata dalla militanza delle idee e affrancata da “quel carattere operativo che si vuole assegnare ad ogni ricerca, anche letteraria o critica, in una temperie di pensiero che ha scisso l’attività dell’uomo dalla sua sostanza, come se ciò che scaturisce dagli umani interessi non fosse, per ciò stesso, anche utile all’uomo”. La critica, intesa come esame lucido e ironico di temi culturali e letterari analizzati secondo il principio di un’esplorazione immanente dell’evento storicamente verificabile, è mossa da una riflessione che ricerca la “prospettiva” e quell’intreccio di radici che sono alla base della scienza letteraria moderna e delle modalità di rapportarsi al testo. Gli scritti di maggior respiro, quali I tedeschi e lo spirito francese, in cui si ricostruisce la tormentata geografia politico-culturale dell’Occidente e Alcune vicende e problemi della cultura nella RDT, sono una felice combinazione di essenziale comprensione del passato e di testimonianza che si traduce in dimensione storico-politica. Anche da questo punto di vista il contributo di Cases può farci meglio comprendere il presente le cui coordinate critiche si rivelano spesso insufficienti o frenate da un diffuso quanto miope pragmatismo.

Foto a lato: Cesare Cases.