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  seminari  

Le saghe islandesi e l’origine del romanzo
A Lettere il professor Torfi Tulinius dell’Università dell’Islanda
di Massimo Rizzante

Dal 21 al 23 ottobre nelle aule della Facoltà di Lettere e Filosofia, su invito del collegio docenti del dottorato in Narratività e letterature comparate, il professor Torfi Tulinius dell’Università dell’Islanda ha tenuto una serie di seminari dal titolo Icelandic sagas. The history of the subject and the origins of the novel in the middle ages.
Credo che la venuta di Tulinius a Trento sia stata una grande occasione per i nostri studenti, laureandi e dottorandi di avvicinarsi ad una civiltà ed a un mondo letterario, quello delle saghe, che sebbene in Italia abbia stimati cultori di valore internazionale (tra cui Fulvio Ferrari, docente di Filologia germanica proprio qui da noi), è in genere poco conosciuto fuori dalla ristretta cerchia degli specialisti. Eppure il patrimonio delle saghe è un patrimonio europeo. E la conoscenza di questo patrimonio ci può far scoprire legami forse insospettabili tra le saghe e il romanzo moderno. È stato proprio questo il tema che Tulinius ha proposto nel corso delle sue conferenze: “Le saghe scritte tra il XII e XIV secolo in Islanda sono una sorta di “protoromanzi”, una delle forme letterarie più vicine all’estetica del romanzo moderno che la cultura occidentale abbia mai prodotto prima di Cervantes”.
Prima di affrontare il suo proposito centrale, lo studioso ha offerto un quadro sintetico della storia del suo Paese, necessaria premessa alla comprensione della struttura sociale nella quale le saghe videro la luce: dall’epoca dell’insediamento dei primi esuli norvegesi (intorno al IX secolo), attraverso la creazione di un ordinamento giuridico e politico (costituzione intorno al 930 del primo Parlamento, la cui sede fu fissata in uno dei più bei luoghi naturali dell’Islanda, Thingvellir) e la successiva adozione della religione cristiana (per altro piuttosto tollerante nei confronti dell’antico paganesimo) fino all’epoca, situabile tra il XII e XIV secolo, tumultuosa e agitata da continue lotte di potere, ma importante perché costituì l’ambiente nel quale vissero e operarono i più importanti sagnamenn, gli scrittori di saghe.
Analizzando poi alcuni esempi, tratti soprattutto dalle Islendingasögur (Saghe islandesi), come la Saga de Hrafnkel o la Saga di Egill, Tulinius ha messo in evidenza diversi elementi in grado di corroborare la sua ipotesi. Quali sono, dunque, queste caratteristiche che avvicinerebbero la prosa delle saghe medievali a quella del romanzo moderno?
Innanzitutto, il realismo adottato nella descrizione delle relazioni umane e sociali. Anche quando nelle saghe si rappresentano delle gesta eroiche, ciò viene fatto con una certa moderazione e in relazione ad un’etica che non perde mai di vista la vita quotidiana. In secondo luogo, il gusto per la complessità dei singoli individui. Molte saghe sono una vera e propria galleria di personaggi, uno ben distinto dall’altro. Nessuno di loro è del tutto buono o cattivo, così come nessuno è rigidamente raffigurato in un unico atteggiamento: l’ambiguità e la dinamicità della vita sono sempre presenti. L’autore, inoltre, non interviene mai direttamente all’interno di ciò che racconta. Tratta la propria materia con un certo distacco. Non dà giudizi morali sulla vicenda. Anzi, spesso sembra lasciarli al lettore. Questa distanza dalla propria materia da parte del narratore fa sì che spesso la descrizione del personaggio sia rapida, secca. Da qui anche lo stile privo di abbellimenti, di aggettivi superflui, laconico, glaciale, e di un humour discreto: “La sua intelligenza e il suo coraggio s’equivalevano poiché egli non aveva il minimo sospetto dell’esistenza né dell’una né dell’altro” (Gísla Saga). Infine Tulinius ha posto con senso della misura e acutezza l’accento su un’ulteriore caratteristica delle saghe, che forse rende la loro composizione e struttura davvero comparabili alle pratiche moderne del romanzo. In Islanda durante il Medio Evo la frontiera tra racconto di finzione e racconto storico non è affatto distinguibile. Le saghe si presentano come testi veridici, così come i personaggi e gli avvenimenti descritti. Solo che essendo state composte per lo più tra il XII e XIV secolo e narrando fatti accaduti tre o quattro secoli prima, la loro “veridicità” storica è spesso messa in causa dalla grande distanza temporale che le separa dagli avvenimenti trattati.
Da questo punto di vista la celebre opinione di Borges, grande connaisseur del mondo islandese, per cui la saga è “la cronaca oggettiva di fatti storici”, deve fare costantemente i conti con la maestria e l’immaginazione, proprie di una civiltà letteraria all’apogeo della sua evoluzione, dei sagnamenn, i quali lavorando certamente su dati storici già conoscevano l’arte romanzesca di costruire con efficacia l’illusione della storicità.

 

Sopra a destra: Islanda. Su questi rilievi di basalti colonnari e nella piana sottostante, a Thingvellir, si radunava ogni anno - dal 930 al 1798 - il Parlamento nazionale, l’Althing, durante il periodo estivo (foto R. Terranova).Tratto dal libro Il mondo dei Vichinghi, Sagep Editrice;
sotto: lezione con il professor Torfi Tulinius dell’Università d’Islanda.