Dottorato di ricerca
o scuola di dottorato?
Si apre il dibattito sulla riforma dei dottorati
di Giuseppina Orlandini
Il dottorato di ricerca (DR) è un’istituzione
di lunga tradizione nei paesi anglosassoni e nei principali paesi europei.
In Italia ha da poco compiuto la maggiore età (siamo al XIX ciclo). In questi pochi anni numerose
circolari, decreti e leggi, spesso confusi e contradditori, si sono susseguiti
per regolarne vari aspetti. Di conseguenza i vari atenei hanno frequentemente
modificato i loro Regolamenti di dottorato e non fa eccezione quello del nostro ateneo, oggetto
di nuovi ripensamenti. Ciò che oggi ci si domanda è se non sia il caso di
dare ai nostri DR la connotazione di scuole di dottorato (SD) in analogia alle Graduate
Schools o ai Graduiertenkollege, nel tentativo di renderli più vicini a quelli europei ed americani.
Ci sono due aspetti dei DR di questi paesi che saltano subito all’occhio: il
primo è che essi sono una parte consolidata dell’offerta formativa, gestiti
dagli organi a questo preposti. I dottorandi sono cioè a tutti gli effetti degli
“studenti” di dottorato, che si formano all’interno di “scuole” di formazione di
tipo avanzato, dove però “sempre” l’accento viene posto sulla “ricerca”. Essi
ottengono cioè nella scuola, anche se sotto la guida di un tutore, la formazione
alla ricerca attiva, al “fare ricerca”. Il secondo è che non sempre,
come invece avviene in Italia, la figura del dottore di ricerca ha come sbocco
o la ricerca in ambito accademico e nei grossi centri di ricerca o la sottoccupazione.
Infatti le imprese in genere riconoscono nella formazione del dottore di ricerca qualità di
intraprendenza, autonomia, capacità di interazione, collaborazione e soluzione di problemi
nuovi, e agilità di movimento in ambiente internazionale, utilissime per lo
svolgimento di mansioni proprie dei quadri non esecutivi.
È lecito domandarsi se questi due aspetti non siano in qualche modo legati.
È probabile che lo siano per le seguenti ragioni: la prima è una ragione
di immagine, cioè l’esistenza di una scuola viene percepita come capace di
dare maggiore garanzia di qualità del “prodotto” (il dottore di ricerca) rispetto
a sparpagliati corsi che appaiono troppo “a conduzione familiare” da
parte di pochi docenti. La seconda, forse più importante, è di sostanza, vale a
dire la scuola, per il fatto di essere più istituzionale, permette una continuità
e una stabilità maggiori, permette di consolidare se non i programmi (che
non si possono per definizione consolidare nella ricerca che ne fa sempre
dei nuovi), i metodi, le attitudini e gli strumenti. Per il fatto di possedere una
massa critica la scuola permette inoltre al dottorando di formarsi in un ambiente
culturale più vasto del singolo gruppo di ricerca in cui egli riceve la
specifica formazione, di aumentare le sue possibilità di interazione, di
collaborazione e di scambio. Si tenga presente che in Italia avviene talvolta addirittura
che i dottorandi facciano riferimento soltanto al singolo docente incontrato saltuariamente. In tali situazioni,
purtroppo piuttosto frequenti, i dottorandi non possono certo sviluppare
nell’esperienza del dottorato quelle doti a cui si faceva riferimento più
sopra e che sono apprezzate non solo dal mondo delle imprese, ma che appartengono
prima di tutto al mondo della ricerca per la natura stessa che questa possiede, specialmente al giorno
d’oggi.
È per questo che il nostro rettore ed i suoi delegati si stanno orientando a
proporre di sostituire gli attuali corsi di dottorato con le SD. L’esistenza delle
scuole che dovrebbero necessariamente avere denominazioni più ampie degli attuali corsi e comprenderli, non
dovrebbe significare l’impossibilità di impartire formazione alla ricerca in settori
più ristretti. Al contrario, questi dovrebbero rappresentare gli indirizzi
della scuola e costituire la ricchezza culturale della stessa. Il collegio dei
docenti, necessariamente ampio, sarebbe responsabile, insieme al dipartimento
e alla facoltà di riferimento, della creazione, nelle forme ritenute più
opportune, di questa atmosfera culturale. Si pensa inoltre che l’esistenza stessa
della SD, da istituire previa valutazione delle condizioni di sussistenza e
soggetta a verifica annuale da parte del nucleo di valutazione, possa facilitare
la collaborazione con altre SD italiane e straniere, che si potrebbe concretizzare
in convenzioni particolari per la gestione comune, lo scambio di studenti
e tutori, il rilascio di titoli congiunti ecc.
La riflessione sulle SD non è iniziata oggi a Trento; è in fase avanzata e sarà presto
proposta agli organi competenti. È probabile che ci si stia muovendo sulla
buona strada se una recente circolare del MIUR raccomanda che nell’istituire
i corsi di dottorato gli atenei si attengano a determinate indicazioni, la prima
delle quali recita: “Incoraggiare iniziative di accorpamento di più corsi che
sbocchino nella costituzione di scuole di dottorato dotate di adeguate risorse
e con capacità di programmazione plurisettoriale”. Non nutro dubbi sulla
seconda delle doti auspicate per le possibili future SD di Trento. Si dovrà lavorare
per la prima!
A destra: il Laboratorio di Informatica e
Telecomunicazioni della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università di
Trento.
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