Guardare
i confini del corpo
Al Dipartimento di Scienze della cognizione e della formazione una ricerca
sulla modalità visiva e la propriocezione
di Francesco Pavani
Chiudete
gli occhi e provate a stabilire la posizione
delle vostre gambe, delle vostre braccia, e la
direzione verso cui è orientata la vostra testa. Scoprirete
che si tratta di un compito piuttosto semplice,
che si basa sulle informazioni che provengono
da una modalità sensoriale nota con il nome di propriocezione. Di questa modalità sensoriale siamo spesso
appena consapevoli, ma è soprattutto grazie ad essa che siamo
in grado di stabilire la posizione del nostro corpo nello spazio,
percepire i nostri “confini” e muoverci con accuratezza
nell’ambiente
che ci circonda.
Ora fate un’altra prova. Appoggiate il braccio destro sul tavolo,
chiudete gli occhi per circa un minuto e, cercando di non muovervi,
prestate attenzione alla posizione del vostro avambraccio
destro. Al passare del tempo il compito dovrebbe risultarvi
progressivamente più difficile, perché il senso di posizione
tende
a divenire meno accurato in assenza di movimenti. Tuttavia,
non appena riaprirete gli occhi ritroverete esattamente il senso
di posizione della vostra mano (anche senza averla mossa). Questo
perché i confini del corpo non si basano unicamente sulla
propriocezione, ma anche sulla modalità visiva.
Se questa ultima affermazione vi trova scettici, provate un terzo
esperimento. Per questa ulteriore prova avrete bisogno dell’aiuto
di un pannello, un paio di amici e due pennelli. Come nella
prova precedente, appoggiate il vostro braccio destro sul tavolo,
ma nascondetelo dietro al pannello (vedi disegno). A questo
punto chiedete ad un primo amico di darvi letteralmente
una mano. Ovvero, chiedetegli di appoggiare anch’egli la mano
destra sul tavolo, parallela alla vostra e in modo che vi sia ben
visibile. Il compito del secondo amico sarà quello di strofinare
con un pennello la vostra mano e con l’altro quella del primo
amico. È fondamentale che i due pennelli si muovano simultaneamente.
Dopo alcuni minuti dovreste cominciare ad esperire
la bizzarra sensazione che la mano che state guardando, ovvero quella del vostro amico, sia in realtà la “vostra”
mano. Come
se non bastasse, vi troverete a percepire la stimolazione tattile
data dallo strofinamento del pennello non più alla vostra mano,
ma direttamente alla mano dell’amico. Come se la mano dell’amico
facesse ora parte del vostro corpo!
Questo curioso fenomeno, descritto per la prima volta alla fine
degli anni Trenta, rappresenta un caso di dominanza della modalità
visiva sulla propriocezione ed il tatto; a dimostrazione
del fatto che la visione non solo contribuisce a definire i confini
del nostro corpo, ma può anche alterarli in maniera illusoria.
In
maniera sorprendente, diversi studi psicologici recenti hanno
dimostrato che l’illusione osservata può emergere anche
quando
la mano “aliena” appoggiata sul tavolo ha poca somiglianza
con una mano reale. Ad esempio, l’illusione è stata replicata
utilizzando dei guanti da cucina, di gomma blu, riempiti da un’intelaiatura
di ferro e cotone (per dare la sensazione di una mano
all’interno del guanto) o addirittura utilizzando un arto
carnevalesco e mostruoso “alla Frankenstein”.
Per la psicologia cognitiva, sia le illusioni visive più note,
sia
questa illusione dell’arto alieno, rappresentano un modo per
cercare di comprendere qualcosa di più sul funzionamento della
mente. Al Dipartimento di Scienze della cognizione e della
formazione del Polo di Rovereto, ad esempio, sono in corso delle
ricerche che studiano come vengono modulati i confini del corpo,
sfruttando le illusioni e le bizzarre percezioni che possono
derivare dai conflitti fra il senso di posizione del corpo e la
stimolazione visiva circa la posizione del corpo nello spazio.
Inoltre, cercano di capire in base a quale criterio determinate
esperienze visive (la mano di un amico, un arto di gomma, o
perfino le ombre che il corpo proietta) possano o non possano
essere incorporate all’interno dei confini del corpo - o più
propriamente,
all’interno dello schema corporeo.
Questi studi non rispondono solo ad una curiosità scientifica,
ma possono anche rivelarsi fondamentali in contesti applicativi
quali la realizzazione di ambienti virtuali o di controllo dei
movimenti a distanza (si immagini ad esempio il caso di movimenti
svolti durante l’immersione in ambienti virtuali o il caso
di interventi chirurgici a distanza). In questi contesti, l’utente
delle applicazioni si trova ad agire in ambienti insoliti e soprattutto
attraverso un “corpo virtuale”. Ciononostante, è
necessario
che egli sia in grado di controllare i movimenti con la stessa
destrezza che può adoperare in contesti reali. Conoscere quali
informazioni visive, propriocettive, tattili e perfino uditive siano
in grado di migliorare la percezione dei confini del corpo
può quindi rivelarsi un’informazione di grande importanza
per
favorire la progettazione di ambienti virtuali e l’addestramento
degli utenti all’interazione con questi ambienti.
Accanto a queste applicazioni nel mondo virtuale, una migliore
conoscenza dei fenomeni che regolano la percezione dei confini
del corpo può essere utile anche in una prospettiva clinica.
Il caso più rappresentativo è forse quello dei pazienti
amputati
con sensazione “dell’arto fantasma”, ovvero la sensazione
nitida
dell’esistenza di una parte del corpo (ad esempio un braccio)
che in realtà è stata amputata anche molto tempo prima.
È
stato di recente osservato che questa sindrome, spesso associata
a sensazioni dolorose di “crampi” all’arto amputato,
può essere
alleviata se al paziente viene mostrato un arto nella posizione
in cui si trova il “fantasma”. Ad esempio, posizionando
verticalmente uno specchio in corrispondenza del braccio amputato,
il riflesso del braccio sano sembra dare frequentemente
l’illusione al paziente di “vedere” il proprio arto
mancante. Inoltre,
muovendo il braccio sano il paziente ha la sensazione di
agire con l’arto fantasma. Analogamente, rilassando il braccio
sano il paziente può avere la sensazione di rilassare l’arto fantasma
e ciò consente di alleviare i dolori da “crampo”
al braccio
inesistente.
Nel 1851, un personaggio senza una gamba del Moby Dick di
Melville, commentava stupito circa la curiosa sensazione che
egli provava quando vedeva la gamba di un altro uomo al posto
della sua: “una sola gamba ai miei occhi, ma due gambe per
il mio animo”. Oggi, una migliore conoscenza di come il nostro
cervello integra le informazioni provenienti dalle diverse modalità
sensoriali può sottrarre queste esperienze al semplice
ambito delle curiosità, trasformandole invece in occasioni per
la ricerca scientifica e l’intervento pratico.
Il disegno in alto a
destra illustra come ottenere
l’illusione della mano aliena:
una terza persona dovrà strofinare i pennelli,
simultaneamente, sulle due mani.
|