A Jean-Paul Fitoussi il titolo di “professore onorario”
Per il suo fondamentale contributo allo sviluppo della moderna teoria macroeconomica e per il suo impegno sociale
di K. Vela
Velupillai*
Riandando agli anni in cui era studente e dottorando a Strasburgo e Parigi, Jean-
Paul Fitoussi attribuisce a sue dei suoi maestri di allora il merito di aver stimolato quella passione per il pensiero economico
rigoroso e per la macroeconomia che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Il primo, Paul Chomley, professore alla
Facoltà di Giurisprudenza ed Economia, si distinse per avergli mostrato l’importanza della moneta e del
commercio internazionale. Jean-Paul ricorda ancora le sue lezioni e argomentazioni come modelli
di chiarezza e rigore e come dimostrazioni di profonda cultura e familiarità con
i classici. Il secondo, Paul Coulbois, docente di teoria macroeconomica ed economia
politica, insegnò a Fitoussi la teoria classica della politica economica. Le sue lezioni sembrano aver lasciato un marchio indelebile nel modo in cui Fitoussi
pensa alla politica, pur nel rispetto del ruolo formativo della storia riconducibile
al messaggio di Chomley.
L’inclinazione economico-filosofica ereditata da Paul Chomley, l’attitudine ai
metodi quantitativi attinta da influssi paterni, la vena polemica - un probabile
talento di parte materna - la passione per il ragionamento logico e rigoroso, lo
sviluppo autonomo e la convinzione dell’efficacia e desiderabilità di una politica
macroeconomica attiva, tutto questo ha trovato in Jean-Paul Fitoussi una splendida
sintesi.
Fitoussi entrò in scena in un momento particolarmente propizio. A metà degli anni ’60, la professione fu
investita da un’ondata di tumulto e insoddisfazione nei confronti della tranquilla era della Sintesi Neoclassica. Clower aveva appena
lanciato le sue fiere sfide all’ottimismo compiaciuto di stampo neowalrasiano mentre l’opera “magna” di Leijonhufvud stava per venire alla luce. La seconda
edizione di Money Interest and Prices di Patinkin era stata anch’essa appena pubblicata. La serie di lavori pubblicati da Phelps ebbe chiaramente un
impatto immediato su Fitoussi, così come l’articolo di Hahn comparso nello stesso volume
dell’IEA - International Economic Association - in cui era uscito il contributo
di Clower. Il contributo classico di Phillips e, qualche tempo dopo, il contributo
analitico di Lipsey nel Phillips Memorial Volume, che sottolineava la genesi teorica
della curva di Phillips, fecero un’impressione altrettanto profonda su Fitoussi.
Nel corso degli anni tuttavia, Fitoussi ha continuamente ribadito che ad aprire i
suoi orizzonti è stato il saggio straordinariamente sagace di Arrow, contenuto nel
Bernard Haley Festschrift.
Gli anni ’60 rappresentarono anche un periodo d’intensa ripresa di varie tradizioni
francesi all’interno della teoria economica. Benché le tradizioni teoriche sulla microeconomia e sull’equilibrio
macroeconomico generale sembrino aver sempre avuto una componente francese, la discendenza macroeconomica e
macrodinamica aveva aggirato gli ambienti francesi durante il consolidamento della Sintesi Neoclassica, sebbene in
quest’ultima vi fosse un evidente elemento neowalrasiano (come Clower più di ogni altro si preoccupò di
dimostrare). Le autorevoli Yrjö Jahnsson Lectures di Malinvaud, che sintetizzavano diverse
tradizioni contemporanee francesi nel campo della teoria macroeconomica e dei fondamenti microeconomici, diedero
avvio ad un vero e proprio fiorire del macroeconomia keynesiana francese. Fitoussi si trovava ovviamente in
una posizione ideale. Recependo la cornice proposta da Malinvaud, egli si assunse
il compito di estenderla e di codificarla - anche come sinopsi pedagogica. Ciò portò a quello stupefacente
tour de force dei primi anni
’80, in cui Fitoussi intraprese un’ indagine complessiva sullo stato della teoria macroeconomica producendo
quello che molti considerarono un capolavoro: Modern Macroeconomic Theory: An Overview. Il messaggio
chiaro e inequivocabile di quel lavoro magistrale era che la questione dei microfondamenti della
microeconomia era troppo complessa per essere lasciata ai teorici dell’equilibrio generale. Esistevano
molti modi per cercare i fondamenti e ci sarebbe voluta una metateoria - che non solo non avevamo, ma non
sapevamo neanche come mettere a punto - per poter scegliere fra di essi. Fitoussi riprese la saggezza di
Keynes e Hicks: esiste una logica macroeconomica indipendente e autonoma che deve essere perseguita
secondo percorsi propri, sulla base delle proprie categorie contabili.
Durante gli anni ‘80 e ‘90, a dispetto del dominio crescente della macroeconomia
neoclassica, Fitoussi proseguì il suo lavoro macro-teorico con una serie di approcci innovativi
alla disoccupazione e alle fluttuazioni, in particolare alla recessione europea degli anni ‘80. Il lavoro
con Georgescu-Roegen ripropose concetti espressi precedentemente da Fitoussi in contesti
simili. Così, molto prima che in macro-economia emergesse quella che è stata definita
la Nuova Scuola Keynesiana, Fitoussi aveva incorporato in un modello della disoccupazione
elementi di asimmetria dovuti a fenomeni di irreversibilità, individuando in tali elementi lo
spartiacque locale globale senza il quale qualsiasi dinamica degna di interesse diventa
impossibile.
Ci fu poi il tentativo, questa volta insieme a Phelps, di fornire una spiegazione
teoricamente soddisfacente ed empiricamente implementabile della recessione in Europa negli anni ‘80, in special modo della persistenza
della disoccupazione. Il libro proponeva il cosiddetto disemployment - la somma di
disinflation (disinflazione) e unemployment (disoccupazione) - come alternativa a quello che era allora il problema ortodosso della
stagflation, la somma di inflation (inflazione) e stagnation (stagnazione). Gli autori individuarono inoltre
uno schema interessante del tipo impulso-propagazione, con un meccanismo ingegnoso per spiegare il punto di
svolta inferiore in un modello del ciclo. Il passaggio dagli impegni puramente accademici presso l’Istituto
Europeo di Firenze alle cariche congiunte di professore all’Institut d’Etudes Politiques e di
direttore di ricerca e poi presidente all’Observatoire Français des Conjonctures
Economiques di Parigi fu fondamentale per Fitoussi. Stando a stretto contatto con gli artefici delle proposte politiche nazionali ed internazionali, egli
dovette sviluppare una visione e un approccio all’economia e alla teoria economica
totalmente diversi. Si rafforzò così il suo percorso di filosofo sociale ed economico.
La maggior parte degli scritti polemi i di Fitoussi dalla metà degli anni ‘90
alle pubblicazioni più recenti si possono comprendere meglio in questa luce. Il
punto centrale del suo pensiero è che il compito di un buon governo non è quello di applicare politiche che
costringano le istituzioni a rientrare nella camicia di forza dei paradigmi dei libri di testo, bensì quello di
ampliare e modificare le rappresentazioni da manuale in modo che possano tener conto delle nuove
realtà. Come sostiene in uno dei suoi lavori più recenti: “Le norme che vincolano
il comportamento pubblico hanno la loro origine in una qualche dottrina economica considerata vera in un determinato periodo,
indipendentemente dalle sue conseguenze economiche a breve termine. In altre parole,
‘le abitudini sociali private’ sono radicate nelle regole del comportamento onesto, mentre ci si
aspetta che le abitudini ‘pubblico-sociali’ siano coerenti con la dottrina economica dominante.”
Jean-Paul Fitoussi continua a rendere posizioni coraggiose e ad esporsi in prima persona contro le politiche
ottuse, la progettazione di istituzioni insostenibili e inique, le consuetudini astoriche e le vedute ristrette dei
responsabili della politica e dei loro corifei. Le ineguaglianze di ogni tipo, l’erosione di pratiche di coesione sociale
sviluppatesi nel tempo, la conservazione delle tradizioni che sostengono le norme sociali,
le imposte a carico di generazioni non ancora nate dovute a tassi d’interesse stravaganti; tutto
questo rappresenta la tela su cui Fitoussi ha iniziato a disegnare la propria visione di una società equa,
democratica e prospera.
In conclusione, non posso che ricordare le parole pungenti con cui Keynes - a cui Fitoussi continua a ispirarsi
- concluse il suo manifesto contro l’ottusità della generazione precedente: “Le
idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle
sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo
è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni
influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto [...]. Sono sicuro che il potere
degli interessi costituiti è ampiamente sopravvalutato rispetto all’affermazione progressiva delle idee. Non
subito però, ma dopo un certo lasso di tempo; la ragione è che nel campo della
filosofia economica e politica non sono in molti a venir influenzati dalle nuove
teorie prima che queste ultime abbiamo venticinque o trent’anni di vita, cosicché
le idee che governanti, uomini politici e perfino agitatori applicano agli avvenimenti
correnti non sono in tutta probabilità le più nuove. Presto o tardi, sono tuttavia le idee, non gli interessi
costituiti, che sono pericolose sia in bene che in male.”1
Precisamente questo è il messaggio che Fitoussi, come filosofo sociale ed economico,
ha cercato di comunicare ai civil servants, ai politici e persino agli agitatori che “applicano agli eventi attuali” teorie distillate
”da qualche scribacchino accademico del passato”.
1 J. M. Keynes, The General Theory of Employment, Interest end Money,
London 1936; trad. it. A.
Campolongo, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta,
UTET, Torino, 1971,
pagg. 526-527.
*K. Vela Velupillai, Dipartimento di Economia, Università di Trento
[Traduzione a cura di Debora Luzzini con la collaborazione di Monica Ierussi.
Il
testo integrale dell’articolo in lingua originale inglese è on line a questo
indirizzo]
Foto in alto da sinistra: il rettore Massimo Egidi e il professor Jean-Paul Fitoussi;
foto in basso, da sinistra: Enrico Zaninotto, Massimo Egidi, Jean-Paul Fitoussi, Roberto Tamborini.
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