no61

  ricerca  

Economia e felicità
Crescita economica, benessere percepito e comportamenti relazionali
di Luigi Mittone e Maurizio Pugno*

 

Ma la felicità non è un argomento per filosofi e poeti? L’economia non studia forse grandezze misurabili, e possibilmente misurabili con il metro monetario? Se alcuni economisti a Trento si avventurano in questo campo non rischiano una ricerca inconclusiva? Per rassicurare il lettore davanti a queste domande va ricordato che recentemente alcuni fatti hanno attratto l’interesse per la felicità di un numero crescente di economisti, soprattutto a livello internazionale, i quali si sono messi a studiarla a loro modo.
Un fatto macroeconomico è ormai comprovato: che nei decenni più recenti il trend di crescita economica dei paesi avanzati non si accompagna ad una analoga crescita della valutazione che la popolazione dà del proprio benessere complessivo, economico ed extra-economico. Per alcuni paesi, come il Giappone, questa autovalutazione indica, piuttosto, un benessere stazionario, per altri, come gli Usa, addirittura decrescente. Altri indicatori del benessere percepito dagli individui, come il tasso di suicidi e la diffusione della depressione, sembrano aggravare una conclusione che suona in modo particolarmente preoccupante per gli economisti. Vale a dire, il benessere economico sintetizzato dal reddito procapite, che costituisce la variabile-obiettivo finale degli economisti, sovrastima il benessere complessivo delle persone in modo crescente. Questo viene anche chiamato “paradosso della felicità”.
In ambito microeconomico, numerosi studi di psicologi economici e di economisti hanno riscontrato in via sperimentale una serie di “anomalie” nel comportamento degli individui, rispetto a quanto avrebbe previsto la teoria classica della scelta razionale (colonna portante della teoria economica tradizionale), che dovrebbe assicurare la massimizzazione del benessere individuale. Una anomalia particolarmente studiata è quella dell’altruismo, che violerebbe il principio dell’autointeresse che ispira la teoria economica. Sembra infatti comprovato che in diversi casi in cui le persone prendono una decisione che coinvolge altre persone, siano disposte a sacrificare la massimizzazione del proprio tornaconto personale per avere un esito più equo.
Sia in ambito macroeconomico, sia in quello microeconomico, dunque, gli economisti sono posti davanti alla necessità di rivedere i loro tradizionali principi e strumenti d’analisi, se non vogliono rischiare di vedere condannate le loro conclusioni e prescrizioni alla scarsa rilevanza.
Non sorprende a questo punto che all’interno della Facoltà di Economia di Trento ci sia stata la sensibilità di cogliere questi problemi per farne oggetto di ricerca. Si ricorda ad esempio che questa Facoltà ha conferito la laurea honoris causa a Daniel Kahneman, che è uno dei più noti psicologi economici e studiosi delle “anomalie” nel comportamento razionale, ora Nobel per l’economia. Pertanto, benché il filone di ricerca sia molto nuovo a livello nazionale (non esi- stono, a nostra conoscenza, progetti di ricerca in questo filone finanziati con fondi del Miur o con fondi europei), Trento si trova avvantaggiata per la sua storia di ricerche in economia cognitiva, che studia i fallimenti della razionalità (sostantiva), e in economia sperimentale.
Attualmente, a questo filone di ricerca sono direttamente interessati tre membri del Dipartimento di Economia (Luigi Mittone, Maurizio Pugno, Paola Villa), ma altri membri conducono ricerche strettamente connesse (Carlo Borzaga, Massimo Egidi). La ricerca è focalizzata su due punti, uno di prospettiva macroeconomica (Pugno), l’altro di tipo microeconomico-sperimentale (Mittone, Villa), legati da un preciso nesso: il ruolo cruciale dei rapporti interpersonali nel comportamento umano.
Da una prospettiva macroeconomica si intende trovare una spiegazione al “paradosso della felicità” considerando esplicitamente che il benessere soggettivo è spiegato sia dal consumo di beni tradizionali, sia dall’esperienza dei rapporti interpersonali.
Tuttavia, mentre il benessere atteso dal primo è relativamente certo, il benessere atteso dalla seconda no.
Le delusioni conseguenti i rapporti interpersonali, indurrebbe dunque a consumare di più i beni, e deteriorare la propria disposizione e le esperienze stesse di rapporto con gli altri.
Un primo risultato di questa ricerca è stato la presentazione di una relazione al convegno internazionale Paradoxes of happiness in economics (Università Bicocca di Milano, 21-23 marzo 2003), che ha visto l’adesione di decine di studiosi economisti, sociologi e psicologi. A gennaio è uscito il volume Felicità ed economia (Guerini e Associati) che seleziona alcuni contributi (tra cui quello di Pugno). A fine anno uscirà u n secondo articolo nel volume Handbook of happiness in economics (Elgar). È inoltre in programma una conferenza su Economia e felicità presso la Facoltà di Economia in cui si discuterà con Luigino Bruni (Università Bicocca) e Stefano Bartolini (Università di Siena) come nasce il “paradosso della felicità”, e se ci sono rimedi perché la politica economica aumenti realmente il benessere.
Dal punto di vista microeconomico-sperimentale, si intende studiare se l’altruismo, una volta opportunamente definito, gioca un ruolo significativo ed in quali contesti (Mittone), e se esiste una differenza fra i sessi in tali comportamenti (Villa). L’approccio sperimentale si presta particolarmente bene ad esplorare la relazione che intercorre tra le variabili tipicamente economiche (reddito, consumi, ecc.) e le variabili psicologiche, che tanta parte hanno nella percezione del nostro benessere. Nel laboratorio dell’economista sperimentale è infatti possibile isolare artificialmente gli effetti prodotti da ogni singolo elemento della complessa rete che forma la vita sociale delle persone. In questo modo è possibile calibrare l’importanza di ogni componente relazionale sulla determinazione di quel complesso stato d’animo che definiamo genericamente con il termine felicità. Ad esempio è possibile capire se un concreto atto di sacrificio, magari la rinuncia ad una parte del nostro reddito, prodotto da un sentimento altruistico non sia in realtà mosso da un inconscio desiderio di provare un senso di autostima che sostiene il delicato equilibrio tra il benessere materiale e quello emotivo. Nello stesso modo la leva che ci spinge ad opporci alle discriminazioni, a partire da quelle contro le donne, potrebbe essere imperniata sul bisogno di sentirci parte di un ambiente equo e tollerante, in cui la nostra percezione di benessere individuale non sia minata dalla consapevolezza dell’esistenza dell’infelicità altrui.
Attraverso lo studio dei comportamenti economici nel contesto controllato ed artificiale del laboratorio si può gettare luce sui limiti della caricaturale immagine dell’homo oeconomicus, per cercare di proporre una nuova definizione della razionalità economica.
Su questa linea di ricerca il Dipartimento di Economia di Trento vanta una esperienza ormai pluriennale, per principale merito di Massimo Egidi e di Axel Leijonhufvud che hanno creato una complessa rete di relazioni con studiosi interessati all’esplorazione di nuovi paradigmi in economia. Tra i più celebri si possono citare i premi Nobel Herbert Simon - purtroppo venuto a mancare pochi anni fa - e Reinhard Selten che hanno fortemente incoraggiato le linee di ricerca sostenute dal Dipartimento in questi campi di frontiera.

*Luigi Mittone, Dipartimento di Economia e Computable and Experimental Economics Laboratory, Maurizio Pugno, Dipartimento di Economia.