La montagna
tra arte, scienza e mito
Una mostra realizzata dal Mart in collaborazione con l’Università di Trento
intervista di Marinella Daidone a Paola Giacomoni
Il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto -
Mart - ha ospitato fino al 18 aprile scorso la mostra
Montagna, arte, scienza,
mito: un percorso artistico e scientifico, dal Cinquecento ad oggi, per scoprire
la montagna attraverso dipinti, sculture, libri rari e strumenti scientifici
originali provenienti da prestigiosi musei di tutto il mondo.
Ne abbiamo parlato con Paola Giacomoni, docente presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia, curatrice della mostra per la parte scientifica.
Professoressa Giacomoni, come è nata la collaborazione con il Mart che ha
portato alla realizzazione della mostra Montagna, arte, scienza, mito?
L’idea è nata dalla discussione tra diversi docenti della Facoltà di Lettere da
cui è scaturita la proposta al Mart di una mostra sul tema della montagna che in
modo innovativo riuscisse a coniugare diversi linguaggi: dalla storia dell’arte
alla scienza, dalla filosofia alla letteratura.
Il Mart ha mostrato grande interesse per la proposta di collaborazione attuata
poi anche con il coinvolgimento della Facoltà di Sociologia, in particolare dei
professori Renato Mazzolini e Pierangelo Schiera, e del Museo di Scienze
Naturali il cui contributo è stato fondamentale per la parte novecentesca.
Nell’ambito della mostra è stato promosso il convegno La montagna come luogo di
salute e benessere che ha visto anche il coinvolgimento delle Facoltà di
Economia e di Scienze e del CeBiSM di Rovereto.
Che tipo di lavoro ha comportato curare gli aspetti scientifici e filosofici
della mostra?
È stato un lavoro lungo e complesso iniziato con un progetto di massima messo a
punto con colleghi, collaboratori e allievi della Facoltà di Lettere e con i
professori Mazzolini e Schiera. Successivamente è iniziata la fase di
frequentazione di musei
italiani ed europei che ci hanno messo a disposizione
materiali importanti, come gli strumenti scientifici di Horace Bénédict de
Saussure o i disegni di Goethe. Da qui ha preso forma una proposta di
realizzazione espositiva discussa con il Mart, con la dottoressa Belli ma anche
con specialisti di storia dell’arte come la professoressa Cavina e il collega
Andrea Bacchi.
Il problema, dal nostro punto di vista, era quello di valorizzare il pensiero
filosofico e scientifico attraverso le immagini. Ci siamo accorti che spesso i
testi scientifici, gli strumenti, le carte avevano anche un retroterra estetico.
Quando Galilei osservava e disegnava le montagne della luna aveva presente lo
studio delle luci e delle ombre che la tradizione artistica da Leonardo in poi
stava imponendo.
A sua volta lo studio di Galilei sulla morfologia della superficie lunare ha
influenzato gli artisti degli anni successivi che dopo il 1610 hanno realizzato
quadri con la luna galileiana, cioè con crateri e montagne. È un esempio di come
arte e scienza si influenzino a vicenda.
Quali concezioni significative della montagna si affermano durante la prima
Modernità?
In mostra si trova un documento importante su questo tema, la prima edizione
della Lettera del Ventoso di Petrarca, dove viene mostrato per la prima volta in
un testo letterario un interesse non utilitaristico nei confronti dell’ascesa di
un monte, attività considerata a quel tempo del tutto inutile e insensata oltre
che pericolosa.
Questo tema viene ripreso nel Cinque-Seicento, quando per rendere familiare
questo mondo che appariva estraneo e lontano si ricorre ad un’immagine ben
conosciuta, quella del corpo, della terra come organismo. Prevale in tutta la
cultura rinascimentale l’immagine della natura come percorsa da simpatie ed
interrelazioni simili a quelle tra gli organi di un corpo. In quest’ambito la
montagna appare come lo scheletro di un corpo vivente o come una mammella e
quindi come un deposito d’acqua, riacquistando così una funzione vitale.
Il Seicento è un’epoca di grandi mutamenti nel pensiero filosofico e scientifico
in cui la montagna viene giudicata a partire dall’idea di perfezione: se Dio
aveva creato, secondo l’idea razionalistica cartesiana, un mondo geometricamente
perfetto, la sua accidentata morfologia attuale andava spiegata attraverso il
concetto di catastrofe.
Allora chi arrivava in Italia, come Thomas Burnet, vedendo le Alpi si trovava
davanti ad un paesaggio inaspettato ed “imperfetto” che dava l’idea di una
rovina, di un paradiso crollato, di un mondo nella spazzatura. Ma allo stesso
tempo era colpito dal suo fascino “moderno”, che si sottraeva ai canoni della
bellezza classica.
Come cambia la concezione della montagna nel Settecento tra Illuministi e
Romantici?
Il Settecento è un secolo fondamentale poiché, a seguito della svolta
cartesiana, newtoniana e galileiana, scienziati e filosofi che fino ad allora
erano stati chiusi nei loro studi, capiscono di dover uscirne per osservare
direttamente la natura. Iniziano in questo periodo le prime osservazioni
sistematiche del mondo inorganico, delle rocce e del paesaggio montano. Tra la
fine del Seicento e gli inizi del Settecento un ruolo significativo viene svolto
da Scheuchzer, un intellettuale svizzero che fece molti viaggi sulle Alpi per
scopi scientifici.
Il paradigma cartesiano affermava che nessuna conoscenza può essere oggettiva se
non è quantificabile; su questa base nel periodo pre-illuminista e poi
illuminista si comincia a misurare tutto: la profondità delle acque dei laghi,
lo spessore delle nevi, l’elettricità dell’aria e perfino l’azzurro del cielo,
poiché la quantificazione appare come l’unico modo per pervenire ad una
conoscenza incontrovertibile ed universale. In epoca illuministica, in
particolare con Buffon, diventa centrale l’idea del tempo: l’ambiente montano
racconta una storia lunga e complessa che si può leggere nelle rocce e nella
loro morfologia.
Esso diventa quindi un vero laboratorio della natura, come dirà Saussure.
I Romantici si avvicinano a questo mondo mantenendo quel brivido di estraneità
che contraddistingueva le epoche precedenti.
In montagna si collocano scene al limite dell’umano come la notte di Santa
Valpurga per Goethe, il Manfred di Byron o il Frankenstein di Mary Shelley che
mostrano la modernità dell’animo romantico fatto di contrasti. La montagna è un
ambiente inquietante ma affascinante: adatto ad esprimere tutte le lacerazioni
che caratterizzano la poesia del Romanticismo.
Qual è la concezione contemporanea della montagna in ambito scientifico e
filosofico?
A partire dall’Ottocento, e soprattutto nel Novecento, lo studio della terra
viene compiuto con attrezzature scientifiche sempre più sofisticate e tuttavia
non è mai condotto in termini empirici ma, come nei secoli precedenti, è guidato
da idee generali. Questo è evidente in particolare nelle grandi teorie del
Novecento che riguardano l’orogenesi: la deriva dei continenti e la tettonica a
placche. Quando Alfred Wegener nel 1912 affermò che, probabilmente, i continenti
originariamente erano uniti, per poi staccarsi muovendosi sul mantello interno
della terra, non fu minimamente creduto. In base all’ipotesi della deriva dei
continenti di Wegener e alle ricerche sui fondali oceanici che davano risultati
convergenti, si poté arrivare poi alla teoria della tettonica delle placche,
oggi accettata da tutto il mondo scientifico, che spiega l’origine dalla
montagna per attrito dei margini continentali e fornisce anche la spiegazione
dei fenomeni sismici.
In alto a sinistra: Andy Warhol (1928-1987) Vesuvius, 1985 Pittura acrilica e serigrafia su tela, 230 x 300 cm Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte (Soprintendenza Speciale per il Polo Museale napoletano - Archivio fotografico).
In basso a sinistra: Paola Giacomoni.
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