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Il nuovo statuto dell’Università di Trento
Tra le linee guida: autonomia, valutazione e separazione delle responsabilità
di Stefano Vitale*

 

Una trasformazione profonda interessa l’università italiana ed europea. Con andamenti altalenanti e dipendenti dagli umori politici dei Governi, le università sono irreversibilmente spinte a comportarsi come istituzioni autonome e in qualche misura in competizione fra di loro. La competizione riguarda l’attrazione di risorse, come i fondi di ricerca e i professori, ma riguarda anche la capacità di attrarre gli studenti, che, anche in Europa, cominciano ad acquisire un certo grado di mobilità.
Questa trasformazione è conseguenza, almeno in parte, della percezione sempre più condivisa che la rete delle università degli Stati Uniti, organizzata secondo questo modello di istituzioni autonome ed in competizione, dia un grandissimo vantaggio strategico a quel paese. Parte di questo vantaggio è la capacità di attrarre da tutto il mondo le intelligenze migliori, professori, ricercatori o studenti che siano, consentendo loro di operare in un contesto di estrema vivacità e libertà intellettuale, condizione da sempre necessaria per il raggiungimento di risultati rilevanti nel campo del sapere.
La materializzazione di questa spinta, nell’università italiana, è stata la serie di provvedimenti governativi sull’autonomia universitaria. L’impatto maggiore lo hanno avuto l’introduzione dell’autonomia amministrativa e l’abolizione della “pianta organica”, vale a dire l’abolizione della gestione diretta da parte del Ministero dell’assegnazione e del finanziamento delle posizioni di personale, docente e non, delle università.
Al contrario adesso le università hanno un bilancio omnicomprensivo in cui gli stipendi del personale compaiono sullo stesso piano delle spese per gli immobili o dei fondi della ricerca. Questa trasformazione, apparentemente un tecnicismo di poco momento, ha in realtà completamente cambiato il modo di gestire l’università e dunque anche le funzioni degli organi di governo. La possibilità di spostare liberamente le risorse da una voce all’altra dà agli atenei la libertà di orientare la propria azione verso gli investimenti più promettenti, consentendo di ricercare un vantaggio competitivo sulle istituzioni consorelle.
Gli effetti visibili di questo cambiamento, per esempio a Trento, sono stati molti: una maggior capacità di accettare e gestire finanziamenti da fonti diverse dal Ministero, la possibilità di utilizzare tali risorse per assumere professori e ricercatori, la possibilità di dare autonomia alle facoltà ecc.
La nuova libertà, un’opportunità notevole per gli atenei che ne sanno approfittare, ha tuttavia le sue esigenze di governo. Bisogna pianificare la spesa, facendo programmi di breve, medio e lungo periodo. Bisogna verificare lo stato di avanzamento di questi programmi riorientando le risorse per fronteggiare difficoltà e ritardi. Bisogna che le responsabilità decisionali siano chiare e che chi prende le decisioni ne renda conto a un qualche organo indipendente, evitando le confusioni fra controllato e controllore.

La sede del Rettorato in Via Belenzani 12 a Trento.

Gli statuti delle università non rispecchiano questa nuova situazione. Essi descrivono un’università proiettata al suo interno, schermata, rispetto al mondo esterno, “dall’abbraccio” ministeriale. La funzione di programmazione è inesistente o dispersa e le stesse responsabilità sono assegnate contemporaneamente o congiuntamente a più organi, così che nessuno risponde delle decisioni. Spesso gli organi di governo, quasi sempre il rettore, hanno supplito a questi vuoti statutari assumendo, in maniera né regolata né controllata, le funzioni non esplicitamente attribuite dagli statuti.
Lo statuto del nostro ateneo era comunque fra i più avanzati e portava in sé gli elementi per poter essere adattato, almeno in parte, alle nuove esigenze senza grandi sconvolgimenti. Dunque il Consiglio di Amministrazione Integrato ha deciso di muoversi su alcuni obiettivi limitati.
In primo luogo l’adeguamento degli obiettivi statutari al contesto di autonomia. Di università, nel mondo, ce ne sono di diversi tipi. Da quelle basate sul binomio ricerca didattica, e che offrono diplomi a tutti i livelli, compreso quello chiave del dottorato, ai “college” post-secondari che forniscono solo diplomi di primo livello. Se si ha autonomia, bisogna decidere quale modello si vuole adottare. Lo statuto sceglie il primo: l’Università di Trento è basata sulla ricerca e vuole misurarsi nel contesto internazionale delle istituzioni dello stesso tipo. In particolare lo statuto riconosce che per poter essere un’istituzione di questo tipo bisogna aspirare ad eccellere nella ricerca e nella didattica. Certo raggiungerla, l’eccellenza, è un’altra storia, ma il super-liceo non può più, per statuto, costituire un obiettivo di ripiego.
Il secondo punto è l’attribuzione delle nuove responsabilità gestionali rese necessarie dall’autonomia. Il Consiglio di Amministrazione, guidato dal presidente, è ora il garante che il governo dell’ateneo venga esercitato per il raggiungimento degli scopi statutari, in sostanza ricerca e didattica di alta qualità. I consiglieri non devono rappresentare altri interessi che quelli statutari dell’ateneo e dunque non sono più “rappresentanti” ma “membri” del Consiglio.
Il Consiglio approva dunque tutti gli atti di programmazione e controlla che l’azione di governo del rettore e degli altri organi esecutivi (Senato e Commissione per la Ricerca Scientifica) persegua in maniera efficace gli obiettivi programmatici. Si avvale per questo del Nucleo di Valutazione, organo tecnico nominato su proposta del presidente e non più del rettore.
Il rettore è il motore dell’attività di programmazione. Individua gli elementi di contesto in cui questa deve avvenire e raccoglie poi i contributi di tutti gli attori, in primo luogo Senato e Commissione Scientifica che lo coadiuvano per didattica e ricerca, le attività principali dell’ateneo. Viene così formulato un programma, annuale e pluriennale da sottoporre al Consiglio. Il programma è la base del bilancio di previsione che, attribuendo le risorse, consente nei fatti all’ateneo di operare.
Ovviamente il rettore conserva la funzione esecutiva, ora agganciata al programma, e così la conservano il Senato e la Commissione Scientifica per le loro parti.
Il direttore generale (non più amministrativo) è il responsabile dell’apparato gestionale, strumento essenziale degli organi esecutivi, e lo gestisce con l’autonomia indispensabile in un’amministrazione moderna orientata al raggiungimento di obiettivi.
Infine lo statuto affronta i principi di autonomia, di separazione delle responsabilità e dell’obbligo di rendere conto dell’azione di governo.
Il Consiglio non ha più funzioni esecutive, e dunque non c’è più la Giunta, e può ora esercitare liberamente la sua capacità di controllare la gestione.

Il Consiglio di Amministrazione Integrato, seduta del 23 aprile 2004

Il rettore risponde al Consiglio relazionando annualmente sullo stato dell’ateneo e sul raggiungimento degli obiettivi programmatici. Su questa relazione il Consiglio esprime obbligatoriamente un parere basandosi sul lavoro del Nucleo e sul giudizio degli studenti, rappresentati dal loro Consiglio. Approvazione del bilancio di previsione e parere sulla relazione del rettore sono dunque i passaggi di verifica annuali nei quali l’esecutivo rende conto del suo operato.
Le facoltà, i dipartimenti e le altre possibili strutture operative a loro volta agiscono in piena autonomia all’interno delle risorse messe loro a disposizione. L’esecutivo si limita a valutarne l’operato per orientare l’attività di programmazione e l’allocazione futura delle risorse. Questo binomio autonomia-valutazione, è la chiave per raggiungere e mantenere la qualità dell’attività accademica.
Questi i tratti essenziali. Certo lo statuto introduce anche altre modifiche. Massima flessibilità nella sperimentazione di nuove strutture didattiche e di ricerca (centri interdipartimentali, scuole interfacoltà ecc.). Poi il già citato Consiglio degli Studenti e il cambiamento degli elettorati, che allarga la partecipazione di alcune componenti. Tentativi questi di incoraggiare il senso di appartenenza, un elemento critico in qualunque organizzazione moderna per poter competere con successo.
Non tutto è andato bene. Personalmente non posso nascondere un senso di incompiutezza su un altro fronte critico del governo: il modello dipartimentale incompiuto e il conseguente reclutamento del capitale umano sulla base della sola pianificazione didattica, un meccanismo notoriamente negativo per la qualità delle assunzioni. Questo fronte avrebbe richiesto passi coraggiosi verso l’armonizzazione della gestione di didattica e ricerca. Certo ora Senato e Commissione Scientifica si riuniscono insieme quando pianificano i carichi di lavoro, e le facoltà devono sentire i dipartimenti su tutte le questioni di personale. Tuttavia erano state studiate ipotesi più radicali che il Consiglio ha dovuto poi accantonare per la mancanza delle condizioni esterne ed interne della loro realizzazione. Ma non bisogna scoraggiarsi: se una cosa ci hanno insegnato questi anni di autonomia, è che le modifiche organizzative si possono sperimentare anche prima di metter mano allo statuto. Il recente esempio dell’utilizzazione delle risorse della Commissione Scientifica per le assunzioni dei ricercatori va in questa direzione.
Poi c’è la questione del mandato del rettore. Non voglio commentare le motivazioni contingenti che hanno così tanto acceso gli animi, almeno di alcuni. Vorrei però suggerire una chiave di lettura di più lungo periodo della discussione avvenuta su questo tema. Nascosto sotto le polemiche su fatti contingenti, è avvenuto in realtà il confronto fra due visioni diverse del ruolo del rettore. Quella tradizionale di primus inter pares, scelto quasi a turno per gestire quel po’ di cosa pubblica che il Ministero dei tempi andati ci lasciava gestire. Una funzione fra il notarile e l’arbitrale il cui detentore è bene che non sieda troppo nella carica per non alterare permanentemente i delicati equilibri interni fra le varie discipline. Alternativa o complementare a questa visione c’è quella portata dall’autonomia: la guida di un’organizzazione complessa e proiettata verso l’esterno, che richiede capacità tutte speciali, difficili da sviluppare e consolidare. Questa seconda visione fa dell’elezione del rettore quasi una procedura di assunzione da parte del corpo accademico, in cui vanno accertate, sulla base delle esperienze precedenti, le capacità dei candidati, la loro idea del ruolo di rettore e la loro visione sul futuro dell’ateneo. Nell’andare da una concezione all’altra il mandato del rettore può avere la durata che si vuole: 8 anni, come prima, 10 (attuale), 12 (i tre mandati pieni) o senza limiti. Il Consiglio le ha dibattute tutte, molte le opinioni a favore della prima e dell’ultima. Quello consegnato all’ateneo è un compromesso, una apertura molto moderata verso la nuova visione, rispettosa dei timori di molti Colleghi verso un temuto modello “aziendale” dell’Università che in realtà nessuno vuole. Il compromesso è stato trovato in una discussione pacata e razionale e votato alla fine in uno spirito di concordia il cui mantenimento è, a parer mio, essenziale per il futuro del nostro ateneo.

* Stefano Vitale è ordinario di Fisica sperimentale presso la Facoltà di Ingegneria, è prorettore vicario dell’ateneo dal dicembre 2000, ha presieduto la Commissione Statuto del Consiglio di Amministrazione.