Terza edizione della scuola
di meteorologia della montagna
Giovani ricercatori ed esperti internazionali studiano gli effetti delle montagne sulle precipitazioni
intervista di Marinella Daidone a Dino Zardi e Richard Rotunno
Dal 26 al 30 luglio scorso si è svolta presso il Centro Congressi Panorama di
Sardagna la terza edizione della Summer School on Mountain Meteorology. Ne
abbiamo parlato con i due responsabili scientifici, i professori Dino Zardi,
docente di fisica dell’atmosfera presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università
di Trento, e Richard Rotunno del National Center for Atmospheric Research di
Boulder, Colorado (USA).
La scuola estiva in meteorologia della montagna è giunta ormai alla terza
edizione. Quali sono i temi trattati quest’anno?
Zardi: Dopo aver trattato negli anni scorsi dei modi in cui le montagne modificano
le correnti atmosferiche (2002) e di come si sviluppano i venti generati dal
riscaldamento o dal raffreddamento del suolo (2003), quest’anno si è parlato
degli effetti delle montagne sulle precipitazioni: pioggia, neve, grandine...
È così particolare la meteorologia della montagna?
Zardi: È un’esperienza che tutti abbiamo fatto: la meteorologia delle aree
montane presenta fenomeni notevolmente più complessi rispetto alle regioni con
una geografia più omogenea. Pensi solo alle precipitazioni intense associate a
fattori orografici, alle circolazioni periodiche di valle, ai fenomeni come il
vento di Foehn.
Quindi la previsione e l’analisi dei fenomeni meteorologici nelle regioni
montuose presentano aspetti peculiari?
Rotunno: Senz’altro. Prevedere questi fenomeni ed i loro molteplici effetti
rappresenta spesso un’incognita e una sfida per i meteorologi. Per questo negli
ultimi decenni si sono realizzati diversi grandi progetti di ricerca, che hanno
coinvolto decine di ricercatori di varie nazionalità e istituzioni. Fra questi
il recente Mesoscale Alpine Programme (MAP), lanciato nel 1995: dopo tre anni di
intensi preparativi si è svolta una serie di misure meteorologiche intensive in
aree obiettivo dell’arco alpino nel periodo settembre-novembre 1999.
Zardi: Il progetto MAP ha consentito di raccogliere una mole impressionante di
dati: la loro elaborazione è tuttora in corso, di pari passo con l’affinamento
dei modelli concettuali e previsionali. La nostra scuola si propone di offrire
un’opportunità per trasmettere questi contenuti alle generazioni più giovani di
ricercatori.
A chi si rivolge la scuola? Chi sono i partecipanti e da quali paesi provengono?
Zardi: La scuola è rivolta sia a giovani ricercatori, tipicamente a livello di
dottorato di ricerca o post-doc, sia a operatori dei servizi meteorologici e di
altri settori dell’ambiente. Quanto alla loro provenienza, quest’anno su
sessanta partecipanti metà circa erano italiani, mentre per l’altra metà
provenivano dall’Europa (Austria, Croazia, Francia, Norvegia, Polonia, Regno
Unito, Svezia, Svizzera e Ucraina), dall’Asia (India, Israele e Cina),
dall’Africa (Marocco) e dall’America (Canada, USA, Messico, Argentina).
Il successo della scuola è dovuto anche alla presenza di docenti prestigiosi.
Potete citare qualche nome?
Zardi: Oltre allo stesso Richard Rotunno, che ha esaminato gli aspetti teorici e
osservativi delle precipitazioni orografiche, abbiamo avuto Jürg Joss, per anni
attivo al Servizio Meteorologico Svizzero presso l’Osservatorio di Locarno
Monti, che ci ha parlato dell’uso del radar in terreno montuoso per la
individuazione e la stima delle precipitazioni; il professor Franco Prodi, oggi
direttore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR a Bologna,
che ci ha parlato della microfisica delle nubi e delle precipitazioni; ed infine
Evelyne Richard, del Laboratorio di Aerologia di Tolosa in Francia, che ha
trattato gli aspetti legati alla simulazione mediante modelli delle
precipitazioni orografiche.
Chi ha supportato questa iniziativa?
Rotunno: L’unico supporto esterno è venuto dall’American Meteorological Society,
che per il terzo anno consecutivo ci ha assegnato un contributo di 5000 dollari
per sostenere gli studenti provenienti dagli USA (noti bene: non necessariamente
cittadini statunitensi, visto che in molti casi si è trattato di studenti
iscritti presso università statunitensi, ma di nazionalità diversa).
Zardi: L’ateneo ha variamente contribuito attraverso il CUDAM - Centro
Universitario per la Difesa Idrogeologica dell’Ambiente Montano -, l’Ufficio
Manifestazioni e Convegni e il webteam, che hanno fornito un supporto eccellente
durante tutta l’organizzazione dell’iniziativa, l’Ufficio Stampa, sempre puntuale
e molto efficace nella diffusione delle notizie relative alla scuola, ed i vari
servizi comuni.
Negli anni passati abbiamo avuto un contributo anche dall’Istituto Nazionale per
la Ricerca Scientifica e Tecnologica sulla Montagna.
Per il resto l’iniziativa si sostiene con le quote di iscrizione dei
partecipanti, che riusciamo a mantenere entro livelli accettabili anche grazie
al fatto che molte delle persone che contribuiscono alla buona riuscita
dell’iniziativa sono nostri dottorandi e borsisti che, come il sottoscritto,
prestano gratuitamente la loro attività.
Professor Zardi, lei ha partecipato in qualità di meteorologo alla trasmissione
televisiva Che tempo che fa condotta da Fabio Fazio. Cosa ci può dire di questa
esperienza?
La cosa curiosa è che tutto è nato dalla scuola estiva dello scorso anno. Fazio
e il suo staff erano alla ricerca di una figura che rappresentasse il mondo
dell’università e della ricerca nel settore dell’atmosfera (dopo il veto imposto
dalla Rai sul professor Franco Prodi). Hanno visto il comunicato del nostro Ufficio
Stampa e hanno mandato due dei loro a Sardagna, nel bel mezzo della scuola, con
tanto di telecamera, per “intervistare” un po’ di gente… Con Fazio e tutto lo
staff si è stabilito un rapporto molto amichevole e cordiale.
C’è un interesse crescente tra la gente comune per la meteorologia? Ritiene che
questa scienza sia divulgabile al grande pubblico?
Zardi: Credo che in generale il nostro paese soffra di un ritardo culturale nei
confronti della meteorologia.
I fenomeni atmosferici li sperimentiamo ogni giorno, spesso condizionano non
poco la nostra esistenza quotidiana… Eppure un misto di fatalismo e di scarsa
conoscenza, alimentato forse anche dalle prestazioni talvolta deludenti di certi
servizi, fa sì che molti credano più agli oroscopi o al calendario di Frate
Indovino che alle previsioni meteo!
Dottor Rotunno, che impressione si è fatto dell’Università di Trento?
Ottima. Anzitutto per questa iniziativa, che ha stabilito connessioni con alcune
fra le più importanti istituzioni di formazione e di ricerca a livello
internazionale nel settore delle scienze dell’atmosfera. Ma anche per l’attività
di ricerca, che ho avuto modo di apprezzare durante la mia permanenza come
visiting professor per qualche mese presso il Dipartimento di Ingegneria civile
e ambientale nell’estate 2002. La collaborazione con il professor Zardi e i suoi
giovani collaboratori è stata, e continua ad essere, molto proficua, visto che
tra l’altro stanno uscendo varie pubblicazioni su prestigiose riviste
scientifiche.
In alto, da sinistra: Richard Rotunno e Dino Zardi;
al centro: una lezione della summer school tenuta da Richard Rotunno.
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