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  ateneo  

Una comunità di studio e di idee
intervista di Marinella Daidone a Enzo Rutigliano


Nel 1962 con la fondazione dell’Istituto Superiore di Scienze Sociali nasce a Trento la prima Facoltà di Sociologia in Italia e con essa si gettano le basi del futuro ateneo.
Il professor Enzo Rutigliano, oggi docente di storia del pensiero sociologico presso la Facoltà di Sociologia di Trento, è stato studente a Trento alla fine degli anni Sessanta.
Professor Rutigliano, cosa significava essere uno studente di Sociologia a Trento negli anni Sessanta? Era una scelta coraggiosa o un azzardo?
Essere studente a Trento negli anni Sessanta significava prima di tutto essere e sentirsi parte di una élite del sapere che, sola in tutta Italia, studiava queste nuove discipline: la sociologia, la psicologia, la psicoanalisi, l’antropologia, che altrove non si studiavano se non in modo sporadico ed episodico. Ci sentivamo parte attiva di un progetto d’avanguardia e tali davvero eravamo. D’altra parte eravamo anche il risultato di un processo di autoselezione costituito dalla lontananza di Trento, dalla laurea non riconosciuta legalmente, dalla necessità di aver conosciuto “prima” qualcosa di sociologia e, in ultimo, dall’attitudine a scommettere sul proprio futuro.
Direi dunque che venire a Trento era una scelta coraggiosa proprio perché un azzardo.

Da studente a docente. Come ha visto cambiare l’Università di Trento in questi quarant’anni?
L’università in questi quarant’anni è cambiata tantissimo. Non è possibile fare paragoni.
Per usare una categoria che usa il sociologo Tönnies, allora eravamo una “comunità”, ora siamo una “società”. Per spiegarmi meglio credo di averlo detto altre volte allora eravamo una vera “comunità di studio”, come nelle università medievali, fatta di vita in comune tra studenti, docenti, problemi, studi, discussioni, divertimenti. Tutto vissuto insieme. L’università, che allora era la sola Facoltà di Sociologia, si sentiva un corpo unico ma staccato dalla città che non comprendeva la novità della facoltà e l’ha vissuta come corpo estraneo per molti anni.
Questa comunità di studio, di idee, di ricerca finì con i primi anni Settanta.
A poco a poco con la costituzione delle altre facoltà quell’esperimento che aveva attratto a Trento i più noti docenti della sociologia, della psicoanalisi, dell’antropologia, lasciò il posto a una facoltà e a una università “normali”, certamente più efficienti e prestigiose di molte altre, da anni ai vertici delle classifiche del Censis, ma qualcosa di assai diverso dalla comunità di studi dell’inizio. E comunque le eccezioni sono tali e dunque non possono durare.

Quali sono i punti salienti della storia dell’ateneo che sono stati trattati nel libro che ne commemora i quarant’anni?
Il libro documenta, a mio avviso, molto bene i cambiamenti. E da tutti i punti di vista: da quello amministrativo, a quello dell’iter legale per il riconoscimento della laurea, alla statizzazione. Documenta la centralità politica di Trento durante la fase mondiale dell’esplosione dei movimenti collettivi, e documenta anche i vissuti individuali nelle molte testimonianze di testimoni importanti che qui da noi si sono formati.
Sono contento di aver partecipato a questo progetto seppure in modo marginale perché questa università è stata, è coincisa con la mia vita. E questo percorso è stato per me un percorso di redenzione: dall’ignoranza alla conoscenza. Redenzione intellettuale, ma, anche, sociale

L’Università a Trento dal 1962 al 2002