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  cultura ispanica  

DalĂ­ pittore, intellettuale, letterato
Un corso alla FacoltĂ  di Lettere per il centenario della nascita
di Jordi Canals e Pietro Taravacci


La celebrazione del centenario della nascita di Salvador Dalí (1904-1989) ci ha spinto, fin dallo scorso anno, ad affrontare per il corso di Storia della cultura ispanica il periodo di formazione del pittore intellettuale catalano. Gli anni in cui Dalí iniziò la sua lunga avventura artistica coincidono con un periodo che conosciamo come Edad de Plata (in virtù dello splendore culturale che la contraddistingue), che comprende quel contraddittorio decennio degli anni venti in cui maturò un’intera generazione capace di determinare l’evoluzione della cultura e del pensiero ispanico sino allo scoppio della Guerra Civile e oltre. L’eccezionale fioritura culturale si produsse in un momento di una certa prosperità economica, in gran parte determinata dalla posizione neutrale della Spagna di fronte al primo conflitto mondiale; tuttavia ciò non impedì l’aggravarsi di una crisi sia politica sia sociale, che covava nelle città industrializzate della penisola già a partire dall’ultimo scorcio del secolo XIX.
Dobbiamo confessare che la scelta di Salvador Dalí, in un primo momento, fu unicamente un comodo pretesto (data la fama del personaggio) per affrontare e ricostruire questo cruciale momento storico, a beneficio degli studenti interessati alla cultura ispanica contemporanea. E lo abbiamo fatto con una certa apprensione, in quanto non si poteva prevedere come sarebbe stata accolta la proposta. Tale timore, probabilmente, derivava dalla freddezza che ancora oggi dimostra la società spagnola quando si riferisce all’universo daliniano; o, più precisamente, rifletteva la posizione di una società che non ha ancora tirato le somme sulla conversione di quel personaggio che, dal 1948 (anno in cui Dalí ritornò alla sua tanto agognata casa di Port Lligat), visse cinicamente sotto l’ala protettrice della Spagna franchista. Per intenderci, quali attenti osservatori dell’immaginario culturale e dell’opinione della Spagna attuale, ci si trovava in una situazione assai diversa da quella vissuta nel 1998, quando ci accingevamo a celebrare il centenario della nascita di Federico García Lorca, che tanto ha condiviso con Dalí di quella Edad de Plata, centenario atteso da ogni parte della società spagnola. Questa breve considerazione può aiutarci a comprendere quanto sia imbarazzante il fatto che la più ampia esposizione antologica di Dalí finora organizzata, quella che si è recentemente inaugurata a Palazzo Grassi a Venezia (che resterà aperta fino al 16 gennaio del 2005), si trasferirà a Filadelfia senza metter piede in Spagna. Nemmeno in Catalogna, dove ha la sua sede la Fundació Gala-Salvador Dalí (nella città di Figueres, capitale “ampurdanesa” patria dell’artista), che amministra tanto il frequentatissimo Teatro-Museo quanto le proprietà di Port Lligat e di Púbol nelle quali vissero rispettivamente il pittore e sua moglie Gala (Helena Ivánovna Diákonova).
La numerosa frequenza e il forte interesse mostrato dagli studenti della nostra Facoltà di Lettere e Filosofia ci ha quindi felicemente sorpresi. Ed è la stessa sorpresa che coglie gli specialisti spagnoli di Dalí ogni volta che si trovano nelle università straniere o entrano in contatto con le generazioni più giovani. Qualcosa che all’inizio di questo significativo anno aveva fatto notare Ignacio López de Liaño nel suo articolo intitolato Un siglo para Dalí (El País. Babelia, 17 gennaio 2004, in occasione del supplemento interamente dedicato al pittore catalano), in cui ricordava la conferenza da lui stesso tenuta nella Scuola di Belle Arti di Pechino di fronte a mille studenti che affollavano inaspettatamente l’aula, così come una simile accoglienza durante una celebrazione immediatamente successiva presso l’Università di Mosca.
Durante il nostro corso, l’universo daliniano, per l’eclettismo che lo contraddistingue e per i legami con numerosi ambiti creativi non necessariamente concomitanti, ci si è aperto un cammino che ci ha permesso di addentrarci in un momento storico e culturale di grande complessità. Così come complessa è la personalità di Salvador Dalí. Di lui ci è stata sempre imposta in modo schematico l’immagine dell’artista figurativo, ma se appena si scava nella sua attività creativa ci si trova davanti il Dalí letterato, autore, di una prima importante opera, La vida secreta de Salvador Dalí (1942), l’autobiografia fantastica (termine, quest’ultimo, che usiamo nella sua accezione piena e non solo critica), alla quale perfino chi non è dedito alle lettere è difficile che non ceda. A quella farà seguito Rostros ocultos (1952), considerato il suo miglior contributo alla letteratura, e Journal d’un génie (pubblicato a Parigi nel 1964).
La sua curiosità per la figura in movimento e per la metamorfosi, lo aveva spinto verso il cinema, una forma d’arte che cominciava a farsi strada nella Madrid dei suoi anni di studio presso la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando (1922-1926). Ma, soprattutto, nella elitaria Residencia de Estudiantes strinse amicizia con Luis Buñuel, attivo organizzatore di cicli di cineforum proprio in quell’istituzione, con il quale di lì a poco avrebbe sperimentato la tecnica della scrittura automatica applicata alla sceneggiatura cinematografica. Fu da quella esperienza che nacquero, alcuni anni dopo, Un perro andaluz (1929) e La Edad de Oro (1930), pellicole annoverabili fra i migliori risultati della cinematografia surrealista.
L’interesse per il linguaggio poetico, al quale si era avvicinato attraverso le riviste dell’avanguardia letteraria barcellonese nelle quali pubblicò i suoi primi testi lirici, lo portò fatalmente, appena giunto a Madrid, verso la travolgente personalità di Federico García Lorca, un altro degli illustri residenti con i quali Dalí condivise l’alloggio sulla famosa “Collina de los Chopos”. La reciproca ammirazione e le loro personalità così complementari, da un lato avrebbero spinto Dalí, nel giugno del 1927, a sperimentare, per la prima rappresentazione della lorchiana Mariana Pineda, la scenografia teatrale (ambito mai più abbandonato, tanto da portarlo ai suoi celebri lavori con Luchino Visconti e con Peter Brook); e a sua volta avrebbero indotto Lorca, poche settimane dopo, ad allestire la sua prima esposizione di disegni nella influente Galleria Dalmau di Barcellona, con l’aiuto del fedele amico catalano.
E non dimenticheremo neppure il tratto finissimo e sempre pertinente con cui Dalí, nello scambio epistolare con García Lorca iniziato nel 1925 e terminato solo con la morte del poeta andaluso) intesse un fitto dialogo critico tanto sull’arte quanto sulla letteratura, nel segno di una percezione del reale assolutamente nuova e di un’ansia espressiva che parte sì dalle avanguardie del primo Novecento, ma aspira ad essere personalissima e tende a quel metodo “paranoico-critico”, opposto, in ultima istanza, all’automatismo surrealista, che trasforma gli oggetti della vita quotidiana in icone dei nostri desideri e delle nostre fobie.
Il nostro corso ha sondato, dunque, nella complessa e sfaccettata personalità di Dalí. E questo, oltre che consentirci di metterlo in relazione con i pittori spagnoli che lo aiutarono nei suoi primi soggiorni parigini
Picasso e Miró), ci ha dato l’occasione sia di proporre la proiezione delle opere filmiche alle quali collaborò, sia di analizzare i testi delle avanguardie letterarie concomitanti; infine, si è potuto ascoltare le opere chiave dei compositori della cosiddetta Generazione del 27 (Manuel de Falla, Ernesto Halffter e Salvador Bacarisse). Attraverso il giovane Dalí siamo stati in grado di fornire ai nostri sempre più interessati studenti una prova fedele di un momento storico e culturale irripetibile, i cui frutti sono ancora evidenti nella vivacità artistica della Spagna di oggi.

Il Teatro-Museo Dalí a Figueres.