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Scavare nella mente
A Trento Alfonso Caramazza, il neuropsicologo di Harvard
intervista di Francesca Menna ad Alfonso Caramazza*

 

Qual è stato il suo percorso professionale prima di arrivare a Trento?
La mia storia è un po’ complicata sia dal punto di vista intellettuale che personale. I miei genitori sono emigrati dall’Italia quando avevo dodici anni; è stata un’esperienza che mi ha segnato profondamente.
Ho studiato in Canada e poi negli Stati Uniti; ho fatto il PhD alla Johns Hopkins University, dove in seguito sono stato professore per molti anni e ho fondato nel 1987 il Dipartimento di Scienze cognitive, uno dei primi in questa disciplina. Da dieci anni sono docente ad Harvard e qualche anno fa ho deciso che volevo tornare in Italia.

Qual è la sua area di ricerca?
La mia ricerca si è svolta prevalentemente nell’area della neuroscienza del linguaggio. Mi sono quindi occupato, da un lato, della capacità linguistica della mente umana in generale, dai meccanismi di comprensione e produzione di una frase alla capacità di leggere e scrivere; negli ultimi anni mi sono interessato in particolare allo studio dei meccanismi di produzione, di come si mettono le parole nella sequenza corretta rispettando gli accordi grammaticali: è straordinario che gli esseri umani riescano a fare tutto ciò a una velocità incredibile come è quella del linguaggio! Dall’altro lato mi sono dedicato alla neuroscienza cognitiva e alla neuropsicologia cognitiva. La prima studia le strutture cerebrali legate a determinate capacità cognitive: per fare questo si utilizzano oggi metodi molto avanzati, come la risonanza magnetica funzionale o un metodo di interferenza chiamato “stimolazione magnetica transcraniale” (transcranial magnetic stimulation). La neuropsicologia cognitiva è invece lo studio delle capacità mentali partendo dall’osservazione dei disturbi cognitivi in pazienti con vari tipi di danni cerebrali. A partire dalla performance, dal comportamento danneggiato, si cerca di ricostruire il sistema normale.

Il suo interesse principale?
La neuropsicologia cognitiva è certamente l’area che ha segnato maggiormente la mia carriera e che mi appassiona di più: mi affascina sia perché, come l’archeologia, ci permette di scavare nella mente, nel cervello, di recuperare i pezzi per ricostruire l’insieme, sia perché ha ricadute importantissime per la società. Le ricadute riguardano il modo in cui possiamo riabilitare persone con disturbi cognitivi diversi, dall’autismo alla dislessia, all’afasia, ai vari disturbi della memoria. A che punto è la ricerca in questo campo in Italia? In Italia la neuropsicologia è molto avanzata, forse perché può essere fatta anche senza macchinari complessi, bastano l’intelligenza e le capacità del ricercatore. Meno avanzate sono le ricerche in alcune altre aree, come ad esempio nell’area della neuroimmagine funzionale dove le risorse e l’organizzazione sono importanti. Uno degli aspetti interessanti all’Università di Trento è che esiste una chiara volontà politica di non rimanere indietro e di creare una struttura a Mattarello con macchinari a livello avanzato, forse non i più avanzati a livello internazionale, ma comunque competitivi a livello europeo.

Com’è nata la collaborazione con l’Università di Trento?
È nata tramite l’amicizia con Remo Job che sapeva dei miei interessi e del mio desiderio di ritornare in Italia e mi ha parlato della situazione del Laboratorio di Scienze Cognitive di Rovereto. Molti anni fa avevo vinto la cattedra di professore all’Università la Sapienza di Roma, ma avevo rifiutato per motivi sia economici sia legati alla mancanza di strutture. Quando ho saputo della possibilità di creare a Trento una struttura seria devo dire che è subito sorto in me un forte interesse.

Come ha trovato il Laboratorio di Scienze Cognitive a Rovereto?
Il laboratorio è stata un’idea geniale di Massimo Egidi e Valentino Braitenberg. Quando sono arrivato io, tuttavia, ho trovato una struttura piuttosto impoverita. Braitenberg non poteva più dirigere il laboratorio e la situazione era rimasta “sospesa”. Ho trovato comunque che l’università, la città di Rovereto e in particolare i ricercatori che operano nell’area delle scienze cognitive e delle neuroscienze sono fortemente interessati a rilanciare l’attività del laboratorio.

Di che cosa si occuperà e quali saranno i cambiamenti nel laboratorio?
La funzione principale del laboratorio sarà quella di essere un centro per gli studi avanzati nelle scienze cognitive. Le attività includeranno un programma di ospitalità di visiting professor, l’organizzazione di workshop annuali e una serie di conferenze. Verrà anche organizzata una serie speciale di conferenze rivolte a un pubblico ampio, oltre la ristretta cerchia degli specialisti, e verranno inoltre pubblicati gli atti dei workshop e delle conferenze. L’altra attività principale sarà quella di “insegnare”. Per “insegnare” non intendo corsi tradizionali, ma l’insegnamento che si concretizza in seminari di ricerca, serie di conferenze e seminari semestrali su argomenti di particolare interesse per i membri del laboratorio, che saranno pure i responsabili della docenza.Sarà incoraggiata la partecipazione autonoma degli studenti degli ultimi anni del corso di laurea in Scienze cognitive e dei dottorandi alle attività di studio e di ricerca. Speriamo di promuovere questo modello di insegnamento che in Italia risulta senz’altro sottoutilizzato. Un aspetto che mi sta particolarmente a cuore è infatti il coinvolgimento degli studenti nella ricerca, già a partire dai primi anni del percorso universitario. Ritengo che sia fondamentale insegnare agli studenti la capacità critica usando un metodo di tipo “apprendistato”, dove gli studenti collaborano con i professori, con i post-doc e con i dottorandi in un laboratorio dove tutti partecipano all’attività di ricerca. Questo per quanto riguarda Rovereto.

Alfonso Caramazza

E a Mattarello che cosa ci sarà?
Per il momento si pensa a tre aree di ricerca: quella del professor Niels Birbaumer sulla plasticità del cervello, quella del professor Massimo Turatto sull’attenzione e percezione visiva e la mia sulla neuroscienza del linguaggio e altri aspetti della cognizione che mi interessano quali i giudizi morali e le scelte economiche. L’approccio che verrà utilizzato sarà quello che si basa sui vari tipi di metodi di neuroimmagine; per il momento l’accento è sulla risonanza magnetica funzionale ma in futuro vorremmo anche adoperare altri metodi tra cui il magnetoencefalogramma e il sistema di optical imaging; questi ultimi sono metodi che si stanno sviluppando e che potrebbero essere molto utili ad esempio con i bambini perché non hanno effetti negativi. Si dovrà pensare a come integrare in modo coerente le varie attività che gravitano intorno all’area delle scienze cognitive e bisognerà disporre di risorse ben pianificate per il futuro. A questo proposito spero che l’università saprà dedicare le risorse e il tempo necessari per assicurare successo all’iniziativa. Questa struttura può diventare molto importante, interessante e prestigiosa; inoltre, il fatto che un’università piccola come Trento riesca a mettere in piedi un’attività di questo tipo e di questo livello potrebbe essere un esempio significativo per il resto d’Italia.

Passare dagli Stati Uniti a Rovereto… che sensazione le dà sia professionalmente sia personalmente?
Paura. Tutte le decisioni che prendiamo hanno due componenti: una puramente formale, logica, deduttiva che porta a conclusioni in base a un ragionamento particolare e una emozionale affettiva che dà colore alle decisioni. Dal punto di vista puramente logico la decisione di lasciare Harvard è difficile da motivare, lì ho un bellissimo laboratorio, risorse incredibili, una serie di vantaggi anche economici che non si possono confrontare con questa realtà. La ragione che mi ha portato qui è il fatto che Trento mi permette di lavorare bene; mi piace molto l’idea di poter dare un contributo alla creazione di una struttura che può davvero essere interessante e che è ancora da definire. Non si tratterà soltanto di un laboratorio di scienze cognitive ma di una struttura di respiro internazionale che serva da modello per la formazione di ricercatori nelle aree della mente/cervello dove gli interlocutori saranno gli scienziati di tutto il mondo che spero verranno qui a collaborare alle nostre ricerche. Vi sono poi degli aspetti affettivi che hanno giocato a favore della mia scelta, che riguardano il tenore di vita in questa zona, una città vivibile anche per dei bambini piccoli come i miei. Io non amo fare il pendolare, anche se quest’anno lo dovrò fare. Per me il ricercatore ideale lavora in laboratorio e vive vicino al laboratorio… e questo a Rovereto si può fare.

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* Alfonso Caramazza è il direttore del Laboratorio di Scienze Cognitive

Sopra: Rovereto, Palazzo Todeschi, sede del Laboratorio di Scienze Cognitive.