no67

  convegni  

La passione del filologo per la verità
Cesare Segre e la critica letteraria
di Andrea Comboni

Su invito della Facoltà di Lettere e Filosofia e del Dipartimento di Scienze filologiche e storiche, nello scorso mese di ottobre, Cesare Segre ha tenuto una rigorosa ed appassionante lezione sul tema: Critica senza filologia? Segre, uno dei maggiori critici, filologi e teorici della letteratura del nostro tempo, ha insegnato per oltre un trentennio filologia romanza presso l’Università degli Studi di Pavia. Accademico dei Lincei, è stato per diversi anni presidente dell’International Association for Semiotic Studies e con le sue ricerche ha contribuito in misura rilevante ad introdurre le teorie strutturaliste e semiotiche nella critica italiana. Dal punto di vista teorico e metodologico rivestono fondamentale importanza i saggi raccolti in I segni e la critica (1969), Le strutture e il tempo (1974), Semiotica, storia e cultura (1977), Semiotica filologica (1979), Avviamento all’analisi del testo letterario (1985), Intrecci di voci. La polifonia nella letteratura del Novecento (1991). Segre ha inoltre esercitato un’innovativa ed esemplare attività di filologo, allestendo l’edizione critica di numerosi testi: dal Bestiaire d’Amours di Richart de Fornival (1957) al Libro de’ Vizi e delle Virtudi di Bono Giamboni (1968), dall’Orlando Furioso (1960) e dalle Satire (1987) di Ludovico Ariosto alla Chanson de Roland (1971 e 1989); legati a questa sua intensa attività di filologo romanzo “a tutto campo” sono inoltre i saggi raccolti in Ecdotica e comparatistica romanze (1998). Nella lezione tenuta a Trento, Segre, con la consueta limpidezza, essenzialità e concretezza, ha voluto sottolineare, ricorrendo a una serie di esempi, lo stretto legame che intercorre tra critica e filologia. Quest’ultima non svolge, infatti, un ruolo puramente “ancillare” nei confronti dell’attività critica, ma collabora essa stessa in misura rilevante, se non decisiva, all’interpretazione dei testi. Il critico, quindi, secondo Segre, non può fare a meno del filologo o meglio non può fare a meno dell’approccio filologico al testo. Per comprendere un’opera letteraria è necessario, infatti, essere a conoscenza di tutti i dati relativi alle vicende della sua elaborazione e composizione. Questo risulta tanto più vero e necessario se si fa riferimento alla tradizione della nostra letteratura in cui sono numerosi, dal Trecento al Novecento, i casi di testi e di opere che ci sono giunti in redazioni plurime. Non è un caso che la critica delle varianti d’autore sia stata, a partire dalla fine degli anni Trenta del secolo scorso (è del 1937, infatti, il contributo fondativo di Gianfranco Contini dedicato all’analisi delle varianti dei frammenti autografi del Furioso), e continui ad essere, uno dei settori più originali e fecondi della filologia italiana. Segre ha ricordato che autori fondamentali della letteratura italiana, quali, ad esempio, Petrarca, Boccaccio, Sannazaro, Ariosto, Bembo, Parini, Foscolo, Manzoni, Leopardi offrono ampia e ricca materia ad analisi di tipo variantistico. Ma la critica delle varianti richiede, per essere praticata in modo corretto, che si possa disporre, per testi a redazione plurima, di attendibili edizioni critiche, capaci di offrire delle fondate ipotesi sulla individuazione delle diverse fasi redazionali e sulla loro cronologia relativa. La filologia d’autore, ha osservato Segre, è chiamata talvolta ad affrontare questioni estremamente complicate e difficili da risolvere: è il caso della edizione di opere postume incompiute, come, per fare un esempio novecentesco, Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio. Del capolavoro fenogliano, ad esempio, sono state allestite, nell’arco di un quarto di secolo, ben tre diverse edizioni (Mondo, Corti, Isella). L’edizione critica (di un’opera antica come di una moderna o contemporanea) è sempre, come osservava Contini, un’ipotesi di lavoro: non rappresenta mai una conquista definitiva e assoluta della verità testuale, ma è un avvicinamento, un’approssimazione a tale verità. A questo proposito c’è una bellissima definizione di Segre che vale la pena di riportare: “La verità, per noi mortali, è costituita di luci e barlumi, di appagamenti e di irrequietezze; essa si rivela progressivamente, e sempre parzialmente, a continue interrogazioni, a tentativi instancabili, insomma a prove di amore filologico. È un amore che si rafforza quanto più sono numerosi gli amanti. Gli amanti devono essere filologi e critici, perché la verità, anche se mai completamente discoperta, è una, e alla sua conquista devono collaborare la logica e il gusto, la storia della lingua e quella della cultura, l’ermeneutica e l’estetica. La verità non viene concessa una volta per tutte, ma è una conquista (una conquista parziale) di tutta la vita, di tutte le nostre vite. L’edizione critica raccoglie il meglio del lavoro sinora operato verso la verità del testo; essa è tanto più lodevole quanto più aiuterà i futuri lettori, o filologi, o critici, ad avanzare ancora verso la verità”.

Cesare Segre .