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  come cambia l'università 
La riforma universitaria
La Bozza Martinotti al vaglio della Facoltà di Giurisprudenza

La Facoltà di Giurisprudenza e la riforma Martinotti
Intervista di Paolo Bari a Roberto Toniatti

La Facoltà di Giurisprudenza ha già anticipato in forma non ufficiale alcune parti della "bozza Martinotti" compatibili con le esigenze e le peculiarità culturali di questo specifico corso di laurea. Se per certi aspetti i docenti di via Rosmini condividono dunque le proposte presentate nel rapporto consegnato al ministro Berlinguer, per altri il dissenso è netto, come peraltro evidenziato nella recente presa di posizione dei presidi delle facoltà italiane di giurisprudenza. Il giudizio critico è stato più volte esplicitato sia in documenti ufficiali (una mozione approvata dal consiglio di facoltà) sia in dichiarazioni pubbliche (per esempio nel corso di un'assemblea convocata dai rappresentanti degli studenti). In questa intervista il preside Roberto Toniatti illustra il punto di vista di tutto il corpo docente.

Il prof. Roberto Toniatti,
preside della Facoltà di
Giurisprudenza


Il rapporto Martinotti indica un percorso da seguire per riformare la struttura didattica degli atenei italiani. Come valuta il documento?

Il nostro giudizio è in parte positivo perché occorre riconoscere che il documento ha avviato una necessaria riflessione finalizzata alla riorganizzazione della didattica universitaria, riflessione che noi avevamo già maturato in precedenza. In merito al rapporto Martinotti sono stati espressi apprezzamenti e nel contempo manifestate perplessità. Sebbene Trento abbia assunto una posizione meno distruttiva rispetto a quelle molto più negative di altre sedi, anche noi condividiamo alcuni giudizi critici contenuti nei documenti approvati in sede nazionale.

Cominciamo dagli elementi positivi. Quali aspetti condividete?

Il sistema dei crediti è sicuramente un'innovazione positiva tanto che a Trento è già stata introdotta per dare un riconoscimento formale ad attività didattiche extracurriculari. La facoltà ad esempio riconosce un valore al superamento delle prove di informatica giuridica e di lingue straniere giuridiche nonché alla frequenza del corso di ordinamento forense e deontologia professionale. Pur non costituendo ufficialmente esami, queste attività didattiche portano indubbi benefici alla formazione di base degli studenti. Il principio dei crediti già costituisce dunque un sistema per rendere visibile e certificabile questo impegno. L'importanza dei crediti è inoltre quella di valutare la congruità delle diverse attività didattiche rispetto al conseguimento di obiettivi fissati in anticipo.

Gli studenti temono che l'attribuzione dei punteggi ai singoli corsi provochi una lotta fra i docenti per vedersi riconosciuta una maggiore importanza.
È una preoccupazione reale?

Capisco che il problema possa esistere in via astratta, ma sono certo che a Trento non si corre questo pericolo perché questa facoltà ha sempre dimostrato che nelle decisioni non si tiene conto del "potere" dei docenti. Per esempio non mi impunterò mai perché l'esame di diritto costituzionale comparato e quello di diritto costituzionale (i due corsi che io tengo ogni anno) abbiano il medesimo valore ai fini dei crediti in quanto diverso è il rispettivo contributo alla formazione di base del giurista.

Veniamo adesso agli aspetti negativi del rapporto Martinotti. Cosa e perché non vi piace?

D'accordo con i presidi di tutte le facoltà italiane, anche a Trento riteniamo che il CUB (Certificato universitario di base) non corrisponda ad alcuna formazione utile per acquisire il metodo giuridico, l'obiettivo del corso di studi di chi si iscrive a giurisprudenza. Si tratta in sostanza di un mezzo per annacquare la formazione del giurista che deve invece essere ottenuta in seguito a un corso di laurea di almeno quattro anni. Il contenuto degli studi deve mantenere una sua connotazione specifica che, nel nostro caso, è finalizzata all'apprendimento del metodo giuridico. Le altre scienze vanno conosciute - ci mancherebbe! - ma sempre da questo punto di vista.

Non si tratta di una posizione sostanzialmente conservatrice e poco aperta al cambiamento?

Non mi sembra. Da anni la facoltà è aperta al confronto con le altre università europee ed anche americane; è chiaro che il rapporto va fatto sulla base di dati e di condizioni paragonabili. Il problema è che la didattica deve essere congrua al titolo di dottore in giurisprudenza. Il giudizio negativo su questo punto del rapporto Martinotti non nasce da spirito conservatore, ma è ascrivibile al fatto che dobbiamo puntare a una formazione fondata sul metodo in vista dell'interpretazione critica e dell'applicazione del diritto. Tutto ciò non è raggiungibile in due anni. Nemmeno l'anno iniziale comune è utile al conseguimento dell'obiettivo che il corso di laurea si prefigge. Tutto ciò non toglie che anche a Trento si avverta l'esigenza di una profonda riforma della didattica, come peraltro si sta già facendo, per esempio con i laboratori applicativi. Molte indicazioni provengono anche dalla commissione paritetica per la didattica che ha lavorato assiduamente in quest'anno accademico.

L'obiettivo del rapporto Martinotti è anche quello di accelerare i tempi della laurea e di aumentare il numero dei laureati?

Se l'obiettivo è condivisibile, gli strumenti indicati nascondono invece un'ambiguità. La preparazione di base del giurista, che oggi si raggiunge al termine del corso quadriennale di laurea (che di fatto ha però una durata superiore), in futuro sarà conseguibile solo dopo la frequenza delle scuole biennali di specializzazione forense. Alla fine gli studenti avranno sempre mediamente bisogno di sei anni per concludere il loro iter universitario. Pur mantenendo la specificità culturale della facoltà, dobbiamo pensare a diversificare i percorsi formativi sulla base delle future esigenze professionali degli studenti. 

Crediti, flessibiltà e contratti