Citando
un autore ottocentesco, oggi molto poco di moda, inizierò questo mio primo,
e spero fermamente ultimo, contributo a unitn, affermando che "uno spettro
si aggira per l'Europa" ed aggiungerò che questo spettro sta divenendo
per me un vero incubo. Lo spettro è costituito dalla "cultura della valutazione"
e l'incubo deriva dal fatto che mi sembra che il modo in cui oggi si vuole valutare
le università in generale, l'università italiana in particolare
e la nostra Università ancora più in particolare sia foriero di
una serie di gravi danni alle istituzioni universitarie e più in generale
alla società.
Premetto che non ho assolutamente nulla contro la "valutazione" in sé:
valutare, nel senso di esprimere giudizi, è qualcosa che tutti fanno, oserei
dire che è attività naturale o forse addirittura una delle poche
cose che distinguono gli uomini dalle bestie. E ovviamente tutti noi abbiamo sempre
valutato le università in quanto abbiamo sempre saputo che esistono "buone"
università e università "mediocri" e persino "grandi" università,
dove per grande non si intende solo che hanno molti studenti e molti professori,
ma anche e soprattutto che sono qualitativamente meglio delle altre. Incomincio
ad avere qualche problema quando si tratta di tradurre questa "valutazione" in
termini più precisi o addirittura "numerici": se è vero che Harvard
è sicuramente una "grande" università e lo Smalltown Community College
altrettanto sicuramente non lo è, mi riesce un pò difficile dire
di quanto Harvard è meglio di SCC. Il problema nasce a mio avviso anche
e soprattutto dal fatto che la valutazione si riferisce alla capacità delle
università di raggiungere gli obiettivi che esse si pongono: la formazione
della nuova classe dirigente della società in cui vivono e la produzione
di nuove conoscenze utili all'umanità e che il conseguimento di questi
obiettivi non si presta ad agevoli misurazioni e soprattutto a misurazioni "istantanee".
Chi può contare i componenti della classe dirigente? Quali e quante sono
le scoperte che hanno "cambiato il mondo" in meglio? E, comunque, solo tra qualche
decennio si saprà se lo studente Pinco Pallino, matr. 12785, laureato oggi
diventerà un luminare della scienza medica oppure uno di quegli squallidi
personaggi che vivono praticando aborti clandestini, un dirigente di imprese "vincenti"
o il responsabile di fallimenti in serie, un integerrimo e prestigioso "grand
commis" oppure uno dei tanti "mezzemaniche" che passano la loro vita angariando
i cittadini con la richiesta di moduli e certificati e così via. E probabilmente
altrettanto tempo sarà necessario per capire se la scoperta delle leggi
scientifiche che sono alla base del rapporto tra la crescita dei capelli e le
condizioni meteorologiche, effettuata dal Prof. Pink O. Smallball del Dept. of
Applied Tricology dell'Università di Bigtown risolverà quello che
è il problema più assillante dell'uomo moderno (e dell'autore di
queste righe), la calvizie, oppure si rivelerà uno dei tanti "vicoli ciechi"
che caratterizzano il progresso della scienza.
Eppure, ciò che fa una università "grande" o anche solo "buona"
sono proprio la riuscita nella vita di tanti Pinchi Pallini che hanno scaldato
i suoi banchi e la capacità dei suoi docenti/ricercatori di contribuire
a risolvere i grandi problemi, quali quello della calvizie. Il resto, quello che
tanto sembra assillare gli alfieri della "cultura della valutazione" - dal numero
di studenti alle attrezzature presenti nei laboratori, dal numero dei libri contenuti
in biblioteca al numero dei posti a sedere a disposizione nelle aule, dalla percentuale
di "promossi" al rapporto tra personale docente e personale di bidelleria -, mi
sembra assolutamente ininfluente. Una grande università non avrà
problemi nel procurarsi risorse (o ne avrà di meno di una università
semplicemente "buona" o "mediocre"), sarà presa d'assalto da folle di studenti
(e questo la metterà in condizione - se lo vorrà e le sarà
consentito di farlo - di scegliere quelli che sembrano i più promettenti),
diverrà una meta "obbligata" degli studiosi più prestigiosi o più
geniali, potrà fare a meno dei bidelli o assumerne centinaia a sua scelta,
potrà comprare o farsi regalare nuove attrezzature e così via. Forse
tutto questo contribuirà a renderla una università ancora migliore,
una università "grandissima", o forse no. Checché se ne dica, resto
convinto che noi non lo possiamo sapere e non lo potremo sapere ancora per molti
anni.
(Prosegue sul prossimo numero)
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