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  controcorrente  

A proposito della valutazione
delle università/3

di Vittorio Mortara

(continua dal numero precedente di Unitn)
La pretesa di valutare la "produttività scientifica", cioè il contributo dell'università al progresso della scienza attraverso il numero delle pubblicazioni e i congressi da essa organizzati è davvero ridicola. Sui fasti (pochissimi) ed i nefasti (tantissimi) del turismo accademico spero di potermi intrattenere un'altra volta: si tratta di una delle mie "bestie nere" e non vedo l'ora di sfogarmi; ma è impossibile non parlare (male, malissimo) sin d'ora del conto delle pubblicazioni. Anche questa volta possiamo incominciare con una serie di "a prescindere" degna del peggior Totò: non mi dilungherò quindi sui gravi danni ecologici causati dall'abnorme consumo di carta implicito nell'incoraggiare in tal modo il popolo universitario a pubblicare, pubblicare, pubblicare; e tacerò dell'odioso business che ne scaturisce (l'editore di una rivista scientifica si fa in genere pagare i costi dai contributori e non paga diritti d'autore: è un perfetto esempio di parassita sociale); e non mi dilungherò neppure sui gravi danni ai bilanci delle università causati dal proliferare delle riviste, tutte costose e tutte per il 99% inutili, o sul fatto che il famigerato "publish or perish" sottrae all'università tanti eccellenti docenti afflitti da crampo dello scrivano. Sarò brevissimo e mi limiterò ad osservare che il mondo è pieno di eccelsi scienziati che hanno cambiato il mondo con un articolo (o, in tempi più felici, con qualche lettera rivolta agli amici) e - purtroppo - ancora più pieno di personaggi che hanno scritto migliaia di pagine senza fare avanzare di un millimetro il progresso scientifico. Vogliamo incoraggiare questi ultimi e scoraggiare i primi? Continuiamo a contare le pubblicazioni e premiare chi sporca carta e spreca tempo dei lettori (fortunatamente pochi), chi pubblica almeno 10 volte i risultati di una ricerca che nel 90% dei casi è perfettamente inutile o costituisce una duplicazione di cose già fatte, chi costruisce e pubblica enormi collage di frasi altrui, chi segue i filoni alla moda, chi vuole a tutti i costi dire la sua, e così via. E continuiamo a punire chi per pubblicare qualcosa aspetta di avere qualcosa di veramente importante da dire (e, posto che i geni sono pochi, non pubblica quindi mai o quasi), chi cerca strade non battute e rifiuta i paradigmi dominanti (e quindi non riuscirà a pubblicare perché i referees lo bloccheranno) e chi ha buone idee, ma preferisce parlarne agli amici piuttosto che gettarle in pasto al pubblico, etc. In breve, continuiamo a contare le pubblicazioni. Ma poi, di nuovo, non venite a lamentarvi con me se la ricerca universitaria langue, se le grandi scoperte si fanno altrove, se l'università nel suo complesso è sempre meno apprezzata.