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   memoria   
La scomparsa di Herbert A. Simon, Nobel per l'economia.
Il suo legame con l'Università di Trento

Le sue doti scientifiche e umane raccontate da Luigi Marengo, con un ricordo di Massimo Egidi
di Luigi Marengo

Lo studio delle decisioni umane: sia dei singoli individui, sia di organizzazioni formate da una molteplicità di individui. È probabilmente questo il tema centrale che accomuna tutta l'opera di Herbert Simon, opera immensa e caratterizzata da una straordinaria interdisciplinarità. Non quella interdisciplinarità "passiva" di cui oggi molti si vantano, ovvero l'utilizzo in una disciplina di concetti, categorie e metodologie mutuati da altre discipline, spesso in modo superficiale, semplificato e ridotto a parole e frasi ad effetto (si pensi ad esempio all'inflazione di usi maldestri delle scienze della complessità nei campi più disparati), ma piuttosto una rarissima interdisciplinarità "attiva" che ha portato Simon a dare contributi fondamentali (e spesso fondativi) in tutte o quasi le molte discipline che studiano le decisioni umane.
Herbert Simon è scomparso il 9 febbraio scorso all'età di 84 anni. Ha dato contributi fondamentali alle scienze dell'organizzazione, alla psicologia, all'intelligenza artificiale (di cui può considerarsi uno dei grandi padri fondatori), alla filosofia, al management e all'economia. Per quest'ultima fu insignito del Premio Nobel nel 1978 e non può non stupire che abbia ricevuto il massimo riconoscimento scientifico in una disciplina della quale si è occupato solo incidentalmente e che ripetutamente, in occasioni più o meno ufficiali, sosteneva non amare particolarmente per la sua carica ideologica, la scarsa fondatezza empirica, la perversa ricerca di formalismi fini a se stessi.
Tra gli altri numerosissimi riconoscimenti ricevuti vi è il Turing Award per la computer science (1975), la National Medal of Science (1986), la American Psychological Association Award for Outstanding Lifetime Contributions (1994), ed infiniti altri in tutto il mondo.
Simon ha avuto una relazione speciale con l'Università di Trento: ha sempre tenuto contatti con Massimo Egidi (che è stato tra coloro che hanno maggiormente contribuito a farne conoscere l'opera tra gli economisti italiani) ed il suo gruppo, con continui scambi e discussioni sui temi di ricerca comuni. In numerosi scritti recenti, Simon ha avuto modo di esprimere il suo grande interesse per il lavoro che viene svolto presso il Laboratorio di Economia Computazionale e Sperimentale del nostro Dipartimento di Economia. Io stesso ho avuto modo di trascorrere una settimana di lavoro con lui un anno fa, avendo modo di apprezzarne le straordinarie doti umane oltre che scientifiche, restando colpito dalla sua curiosità, entusiasmo e passione per la ricerca (ricordo che, nonostante la sua età, mi impose un ritmo di lavoro massacrante). Come "economista" (e sono sicuro che apprezzerebbe queste virgolette) è stato portatore di una coscienza critica nei confronti di certe derive che hanno caratterizzato la disciplina. Le idee che stanno alla base dei suoi contributi possono essere riassunte nei tre punti che seguono.
- L'ostinato richiamo agli economisti (quelli senza virgolette) a non dimenticare che l'oggetto del loro studio è il comportamento di esseri umani e non quello di ipotetiche entità onniscenti e dotate di un'illimitata capacità di svolgere calcoli complessi, ma confinati in un mondo angusto in cui non c'è spazio né per la creatività e l'ingegno né per motivazioni dell'agire sociale più articolate del cieco ed ostinato perseguimento del proprio interesse egoistico. In questo senso va letta la critica di Simon alla concezione della razionalità "sostanziale" tipica della teoria economica (almeno di quella neoclassica), secondo la quale il criterio di razionalità dell'agire umano va ricercato nei risultati raggiunti (massimizzazione del benessere dati i vincoli), e il suo porre in luce da un lato i limiti cognitivi, informativi e computazionali dell'agire razionale, e dall'altro lato l'importanza di cercare nelle procedure mentali (nei ragionamenti) più che nei risultati l'essenza della razionalità.
- La parallela insistenza sulla necessità di porre sempre l'osservazione empirica alla base di ogni sforzo teorico in economia. Sostiene Simon che gli economisti dovrebbero sempre partire dall'osservazione di dati empirici e costruire modelli il più possibile parsimoniosi che siano in grado di spiegare questi dati. Per molti aspetti la teoria economica ha seguito esattamente il cammino opposto, costruendo modelli estremamente complessi (anche se in molti casi modelli molto più semplici potrebbero spiegare meglio i dati empirici) e continuando ad utilizzarli anche quando risultino totalmente confutati dall'evidenza, con la tipica quanto assurda giustificazione che manca un modello alternativo.
- La necessità di costruire una teoria economica delle organizzazioni (fino a 20-30 anni fa praticamente inesistente) ed in particolare delle imprese. Sostiene Simon che è paradossale definire le nostre economie capitalistiche avanzate "di mercato", mentre l'elemento che più le caratterizza è la presenza di grandi imprese organizzate gerarchicamente. In realtà per molti aspetti erano più "di mercato" economie pre-capitalistiche e pre-industriali, mentre oggi gran parte dei nostri atti economicamente (come la vita lavorativa per la maggior parte di noi) rilevanti avvengono all'interno di organizzazioni, che svolgono un ruolo fondamentale nel plasmare le nostre conoscenze, le nostre motivazioni e lo stesso modo con cui percepiamo la realtà in cui operiamo.
Questi tre temi fondamentali sono stati alle base di numerosi lavori di Simon pubblicati soprattutto tra gli anni '50 e '70 (dopo di che ha limitato le sue incursioni nella teoria economica ed a rivolto la sua attenzione ad altre discipline). Col senno di poi possiamo affermare che alcuni dei suoi richiami sono stati ascoltati ed hanno fortemente influenzato i successivi sviluppi della teoria economica, ma spesso ci si è limitati a cogliere solo gli aspetti del lavoro di Simon che potevano essere accomodati entro la teoria esistente, senza mai prendere veramente sul serio la parte più radicale, ma anche la più importante, del suo messaggio.


Un ricordo personale di Massimo Egidi, rettore dell'Università di Trento